Astronews a cura di Massimiliano Razzano
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26/01/2019 - La più antica roccia della Terra forse trovata sulla Luna
La più antica roccia della Terra forse trovata sulla Luna
Il più antico campione di roccia terrestre potrebbe essere, incredibilmente, essere stato prelevato sul suolo lunare dagli astronauti dell’Apollo 14. La ricerca su tale reliquia della Terra primordiale è riportata su Earth and Planetary Science Letters da un gruppo internazionale di scienziati del Center for Lunar Science and Exploration (CLSE) della NASA.
Lo studio ha fornito le prove che questa roccia sia stata strappata e lanciata nello spazio nel corso di una collisione con un grande asteroide circa 4 miliardi di anni fa, quando la giovanissima Luna era tre volte più vicina. Il campione eiettato nello spazio è arrivato sulla superficie selenica, dove si è aggregato ad altri materiali locali per formare un campione unico (Figura).
La scoperta è frutto di una curiosa sfida accademica, lanciata da David A. Kring, ricercatore del CLSE, per trovare un frammento terrestre tra quelli d’impatto presenti nella regolite lunare, dato che era stato sviluppato un sistema per discriminare tali materiali. La sfida è stata accettata dal team guidato da Jeremy Bellucci (Museo Svedese di Storia Naturale) e Alexander Nemchin (Curtin University, Australia), che ha rinvenuto un frammento di appena 2 grammi, composto da quarzo, feldspato e zircone, minerali comuni nelle rocce terrestri, ma piuttosto rari in quelle lunari.
Le analisi del frammento hanno mostrato che è cristallizzato in una forma ossidata tipica terrestre, anziché in condizioni di riduzione e temperature elevate tipiche della Luna. L’ipotesi che tale campione si sia formato in condizioni estreme, nelle profondità della Luna, è considerata estremamente improbabile. La spiegazione più semplice è una genesi terrestre, a circa 20 km di profondità, 4,0-4,1 miliardi di anni fa. La roccia sarebbe stata portata in superficie durante lo scavo di uno o più crateri d’impatto e con l’ultimo di essi eiettata nello spazio, sino a raggiungere la Luna.
Anche sulla Luna, il campione non è rimasto tranquillo, poiché è stato interessato e parzialmente fuso da un impatto circa 3,9 miliardi di anni fa, durante l’”Intenso Bombardamento Tardivo”, che forse lo ha seppellito. L’ultimo colpo il campione l’ha subito circa 26 milioni di anni fa, quando un grosso meteorite scavò un cratere di 340 m, facendolo riaffiorare in superficie, per poi essere raccolto nei primi giorni del febbraio 1971 dagli astronauti.
Giuseppe Donatiello
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23/01/2019 - IL LUNA PARK DEI SISTEMI DOPPI
IL LUNA PARK DEI SISTEMI DOPPI
Una nuova ricerca, guidata dall’Università di Warwick (UK) ha permesso di scoprire il primo esempio di sistema stellare doppio nel quale il disco di gas e polvere circostante, chiamato “disco circumbinario”, risulta perpendicolare rispetto al piano orbitale delle due stelle. Il team internazionale di astronomi coinvolto nella ricerca ha utilizzato l’Atacama Large Millimeter/Sub-millimeter Array (ALMA) per ottenere immagini ad alta risoluzione del disco, delle dimensioni della Fascia degli asteroidi. Questa configurazione era stata prevista dai modelli teorici, ma mai osservata. L’osservazione di ALMA dimostra che dischi polari di questo tipo esistono e potrebbero anche essere relativamente comuni.
“I dischi ricchi di gas e polvere si osservano in quasi tutte le stelle giovani, e almeno un terzo di quelli che orbitano attorno a stelle singole formano pianeti. Alcuni di questi pianeti finiscono per essere disallineati con la rotazione della stella, quindi ci siamo chiesti se una cosa simile potesse essere possibile anche per pianeti circumbinari”, racconta Grant M. Kennedy (Department of Physics and Centre for Exoplanets and Habitability dell’Università di Warwick.
Kennedy e colleghi hanno usato ALMA per definire con precisione l’orientamento dell’anello di gas e polvere del sistema. L’orbita del sistema binario era già nota dalle osservazioni che hanno permesso di quantificare il modo in cui le stelle si muovono in relazione l’una all’altra. Combinando queste due informazioni, sono stati in grado di stabilire che l’anello di polvere è compatibile con un’orbita perfettamente polare. Ciò significa che mentre le stelle orbitano l’una attorno all’altra su un piano, il disco che circonda le stelle forma un angolo retto rispetto alle loro orbite.
E non è tutto. “Nei dischi circumbinari abbiamo visto i segni iniziali della formazione dei pianeti.“ – continua Kennedy – “Se il processo di formazione planetaria può completarsi anche in situazioni del genere, potrebbero esserci molti pianeti circumbinari che dobbiamo ancora scoprire, soggetti a strane variazioni stagionali”.
Se sul bordo interno dell’anello di polvere fosse presente un pianeta, dalla sua superficie l’anello apparirebbe come una banda larga che sale perpendicolarmente dall’orizzonte. Le stelle sembrerebbero muoversi dentro e fuori dal piano del disco, dando agli oggetti due ombre. Su pianeti appartenenti a tali sistemi, anche le stagioni sarebbero complesse. Sulla Terra variano durante l’anno mentre orbitiamo intorno al Sole. Un pianeta in orbita circumpolare avrebbe stagioni che variano anche quando latitudini diverse ricevono più o meno illuminazione lungo l’orbita binaria (Fonte: media-INAF).
Piero Stroppa
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22/01/2019 - Tre nuovi ammassi globulari nei pressi del centro galattico
Tre nuovi ammassi globulari nei pressi del centro galattico
L’anno scorso, l’astronomo Denilso Camargo del Ministero della Difesa brasiliano a Porto Alegre, ha destato un certo clamore con l’annuncio della scoperta di ben cinque ammassi globulari in direzione del bulge della nostra Galassia, vale a dire il rigonfiamento centrale composto in netta prevalenza da stelle vecchie di Popolazione II. Le ricerche di Camargo sono nel frattempo proseguite e l’impegno è stato nuovamente ripagato con tre notevoli scoperte sempre nella stessa regione, annunciate dalle pagine di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters. I nuovi oggetti, designati Camargo 1107, 1108 e 1109, sono solo gli ultimi di un corposo catalogo di candidati gruppi stellari, costituito in prevalenza da ammassi aperti allocati sul disco galattico.
“Come reliquie della formazione stellare nell'Universo primordiale, - ci ha detto Camargo - gli ammassi globulari possono fornire importanti indizi sulla storia della Via Lattea. Ad esempio, la formazione ed evoluzione del rigonfiamento rimangono scarsamente compresi e i GC sono strumenti potenti per tracciarne la struttura, la cinematica e il contenuto stellare. Il bulge è stato al centro di acceso dibattito negli ultimi anni ed è stato profuso un importante sforzo per caratterizzare adeguatamente la regione centrale della nostra galassia”. Gli specialisti di galassie distinguono i rigonfiamenti centrali in ‘classici’ e ‘pseudo-bulges’ in apparenza simili a dischi. Si ritiene che i primi siano la conseguenza della fusione di galassie primordiali o il collasso di gigantesche nubi gassose con minuscole galassie primordiali di cui rimane retaggio nella particolare popolazione di stelle e negli stessi ammassi globulari un tempo molto più ricchi. I rigonfiamenti appiattiti possono invece prodursi su scale temporali più lunghe attraverso complessi processi interni.
Tutti gli ammassi globulari sono oggetti molto vecchi e poveri di metalli, con età prossime a quella dell’Universo e anche questi ultimi non fanno eccezione poiché la loro età è stata stimata tra 12.0 e 13.5 miliardi di anni. Gli ammassi riportati nello studio, così come quelli annunciati in precedenza, suggeriscono che la regione centrale della Via Lattea ospiti una sottopopolazione di ammassi globulari coerente, per età e contenuto chimico, con l'essere una componente dell’alone interno. In alternativa, questi ammassi possono far parte di un vecchio rigonfiamento classico sviluppatosi con ripetuti fenomeni di fusione nella giovane Via Lattea, come sembrano confermare i dati di Gaia DR2. Gli ammassi trovati da Camargo (C1102/1109) possono essere quanto rimanga di una generazione primordiale distrutta principalmente da processi dinamici che ne hanno dirottato le stelle nell’alone interno e nel rigonfiamento centrale.
“Giacché gli ammassi globulari hanno fondamentalmente assistito all'intera storia della nostra Galassia, - continua Camargo – essi possono aiutarci a ricostituire la catena di processi fisici vissuta dalla Via Lattea dalla sua origine ai giorni nostri. Tuttavia, il censimento degli ammassi globulari nella Via Lattea è ancora lontano dall'essere completo, specialmente per gli ammassi globulari di rigonfiamento”.
Infatti, con gli otto ammassi globulari scoperti da Camargo, il numero di quelli ad oggi noti è intorno a 200, ciononostante si ritiene che un gran numero, specialmente quelli meno densi, ancora si nasconda nei fitti campi stellari e dietro le dense nubi molecolari. In Figura, una ripresa di Omega Centauri.
Giuseppe Donatiello
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16/01/2019 - Hubble: ripristinato il funzionamento della WFC3
Hubble: ripristinato il funzionamento della WFC3
Con un annuncio ufficiale sul sito del Telescopio Spaziale Hubble (http://hubblesite.org/) la NASA ha informato che il 15 gennaio è stato ripristinato il funzionamento della Wide Field Camera 3 (http://www.stsci.edu/hst/wfc3), riportando lo strumento in modalità operativa.
WFC3 aveva sospeso le operazioni lo scorso 8 gennaio 2019 dopo che il software installato sulla stessa aveva rilevato alcuni livelli di tensione elettrica fuori da quelli nominali. Lo strumento si è autonomamente messo in standby come precauzione di sicurezza. La verifica dei dati ha poi mostrato che tali livelli rientravano nel range normale di funzionamento e che quanto registrato era riconducibile a errori di lettura e trasmissione dei dati telemetrici e non ad anomalia nel circuito elettrico di alimentazione.
In definitiva, la WFC3 funzionava correttamente e non era occorso alcun guasto hardware. Dopo il reset operativo della telemetria e delle relative schede, lo strumento è stato riattivato per riprendere le regolari operazioni scientifiche dopo le brevi opportune calibrazioni e test.
Giuseppe Donatiello
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15/01/2019 - È spuntato del cotone sulla Luna!
È spuntato del cotone sulla Luna!
Sulla Luna è spuntato un germoglio di cotone. Con tutta evidenza non sulla regolite lunare ma all’interno di un contenitore largo 18 cm imbarcato sulla sonda cinese Chang'e-4 che, dal 3 gennaio scorso, si è posata sul lato lontano della Luna. L’esperimento è una sorta di mini biosfera lunare, così lo definisce Xie Gengxin della Chongqing University che ne ha guidata la progettazione, ed è la prima volta che si sperimenta la crescita biologica sulla superficie lunare. All’interno del contenitore insieme a terra, acqua e aria, sono riposti, in specifici box, semi di cotone, di patata e di arabidopsis, una pianta della famiglia della senape, ma anche delle uova di mosca.
Al momento ad aver attecchito è stato solo il germoglio di cotone che sembra crescere bene, ma i ricercatori sono ottimisti nel veder spuntare altre piantine.
Chang'e-4 è imbarca sul lander altri esperimenti con strumenti sviluppati da scienziati, oltre che cinesi, provenienti da Svezia e Germania. Con tali strumenti si studierà l'ambiente lunare, la radiazione cosmica e l'interazione tra il vento solare e la superficie lunare. La rover Yutu-2 studierà invece la regione intorno al cratere Von Karman.
Giuseppe Donatiello
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13/01/2019 - LA NEBULOSA DELLE VELE IN MOSAICO
LA NEBULOSA DELLE VELE IN MOSAICO
Una foto amatoriale nella “Finestra sull’Universo”, per ricordare che ogni giorno una giuria di specialisti sceglie la Astronomy Picture of the Day (APOD) della NASA. Questa foto viene poi pubblicata sul sito https://apod.nasa.gov/apod/astropix.html
Il 10 gennaio scorso è stata scelta una ripresa della Nebulosa delle Vele, il resto dell’esplosione di una supernova avvenuta circa 12 mila anni fa a 800 anni luce da noi, nella costellazione australe delle Vele.
L’immagine (Figura) è il risultato di un mosaico di 200 pezzi composto dal celebre astrofotografo Robert Gendler e da Roberto Colombari, un ingegnere originario di Cuneo che attualmente vive e lavora in Brasile.
Gli autori hanno scaricato i dati dall’archivio dell’ESO della survey DSS POSS2, ottenuti con l’Oschin Schmidt Telescope di Mt Palomar e con l’UK Schmidt Telescope. Queste riprese sono state usati come luminanza, in layer con l’informazione colore registrata da Robert Gendler alcuni anni fa con un astrografo Takahashi FSQ 106. Le composizioni sono state effettuate con i software PixInsight, PS e Registar, più altri programmi scritti da Colombari (Fonte: Media-INAF).
Piero Stroppa
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13/01/2019 - ALLA RICERCA DELL’ANTIUNIVERSO
ALLA RICERCA DELL’ANTIUNIVERSO
L’Universo potrebbe avere una sua controparte nascosta, nata anch’essa con il Big Bang: un Antiuniverso fatto di antimateria, e in cui il tempo scorre a ritroso (Figura). L’ipotesi potrebbe spiegare che fine abbia fatto l’antimateria sopravvissuta al contatto letale con la materia agli albori del cosmo, circa 14 miliardi di anni fa. È quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto canadese Perimeter per la fisica teorica, coordinati da Neil Turok.
I fisici canadesi hanno sviluppato un modello cosmologico che permette di estendere l’universo oltre il Big Bang. La storia del cosmo è infatti iniziata con uno scontro epico tra materia e antimateria, che si è risolto in un lampo di energia con la vittoria, di strettissima misura, della materia, nonostante subito dopo il Big Bang le loro quantità fossero quasi perfettamente simmetriche. Tutto ciò che esiste deriva da questa piccola percentuale di materia sopravvissuta all’annichilazione totale.
“Se potessimo vivere in questo Antiuniverso – dice Antonio Masiero, vicepresidente dell’INFN - vedremmo scorrere tutto indietro nel tempo a partire dal Big Bang, e noteremmo solo antimateria, anzi lo saremmo anche noi. In base a questo modello cosmologico, non ci sarebbe bisogno di un periodo di espansione rapidissima dopo il Big Bang, l’inflazione, per spiegare la produzione di materia, compresa la materia oscura. Inoltre, potrebbero non esistere nuove particelle sconosciute oltre il modello standard», l’architettura di riferimento della fisica moderna”. (Fonte: Media-INAF).
Piero Stroppa
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13/01/2019 - CERERE: NERO COME IL CARBONIO
CERERE: NERO COME IL CARBONIO
Il 12 ottobre 2018, pochi giorni prima della fine della missione, la sonda Dawn della NASA ha ripreso questa immagine del picco centrale del cratere Urvara (circa 160 km di diametro Figura) di Cerere. La cresta visibile al centro è alta circa 2000 m rispetto al terreno circostante, che appare ricco in carbonati e altri prodotti dell’interazione tra rocce ed acqua.
Riprese come queste fanno supporre che la superficie del pianeta nano Cerere abbia un’alta concentrazione di carbonio, sotto forma di molecole organiche. Questa sorprendente abbondanza può spiegare perché Cerere rifletta assai poco i raggi solari, apparendo decisamente scuro. La scoperta è stata realizzata da un team internazionale del Southwest Research Institute (SWRI) negli Stati Uniti e a cui hanno partecipato ricercatori italiani, grazie anche ai dati raccolti dallo spettrometro italiano VIR della sonda.
“Dawn ha rivelato che Cerere ha una mineralogia superficiale unica tra i corpi del Sistema Solare interno, che potrebbe avere fino al 20% in massa di carbonio - dice Simone Marchi dello SWRI - Dobbiamo chiederci che potenzialità ha avuto questo mondo nello sviluppo di chimica prebiotica e se questi processi abbiano influenzato la composizione di pianeti più grandi, come la Terra. Cerere, grazie alle scoperte di Dawn, si è guadagnato un ruolo fondamentale nello studio dell’origine, l’evoluzione e la distribuzione delle specie organiche nel Sistema Solare interno».
I dati di Dawn hanno rivelato la presenza di acqua e di altre sostanze volatili, come l’ammonio e un’alta concentrazione di carbonio, suggerendo che questo corpo celeste si sia formato in un ambiente freddo, forse oltre l’orbita di Giove. Perturbazioni gravitazionali avrebbero poi avvicinato Cerere al Sole, fino a raggiungere la sua posizione attuale nella Fascia principale degli asteroidi.
“Il nuovo studio rileva che il 50-60% in volume della crosta superiore di Cerere può avere una composizione simile a meteoriti primitive, di tipo condrite carbonacee», sottolinea Maria Cristina De Sanctis, responsabile scientifica di VIR. “La composizione mineralogica di Cerere è compatibile con un evento di scala globale di alterazione acquosa di rocce, rocce, che potrebbe fornire condizioni favorevoli alla chimica organica. Specifici composti organici sono stati rilevati vicino al cratere da impatto Ernutet, fornendo supporto alla presenza diffusa di sostanze organiche nel sottosuolo superficiale di Cerere” (Fonte: Media-INAF).
Piero Stroppa
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10/01/2019 - LA CRISTALLIZZAZIONE DELLE NANE BIANCHE
LA CRISTALLIZZAZIONE DELLE NANE BIANCHE
Le nane bianche sono i resti inerti lasciati da stelle di massa intermedia (sino a circa 8 masse solari), dopo aver attraversato la fase di nebulosa planetaria, durante la quale sono stati soffiati via gli strati esterni nello stadio di gigante rossa. Quindi, le nane bianche sono i nuclei non più attivi di tali stelle che osserviamo in una particolare condizione di equilibrio, durante la quale si stanno raffreddando in modo estremamente lento.
La fase di completo raffreddamento si ritiene debba infatti durare alcune decine di miliardi di anni ed è per tale ragione che non sono mai state identificate delle “nane nere”, vale a dire nuclei stellari completamente raffreddati che non emettano più alcuna radiazione visibile.
Sappiamo da qualche tempo che queste stelle sono sostenute dalla pressione di degenerazione elettronica, e raggiungono la straordinaria densità di 10 milioni di grammi per centimetro cubo nei loro nuclei, costituiti da carbonio e ossigeno sovrastati da uno strato fluido di gas degenere, da cui proviene la fioca luce che riceviamo da esse.
In realtà, le nane bianche sono molto luminose e caldissime, con il picco di emissione nella regione ultravioletta dello spettro, ma appaiono molto fioche soprattutto perché sono intrinsecamente piccole, con dimensioni tipiche paragonabili alla nostra Terra. Le nane bianche hanno tutte caratteristiche abbastanza omogenee e sono per questo considerate una sorta di ottimo orologio cosmico con cui è possibile stimare con elevata precisione l’età di una determinata associazione stellare, in base alle temperature atmosferiche esibite poiché il raffreddamento avviene in modo caratteristico e prevedibile.
Fin qui i caratteri generali, ma com’è un nucleo di una nana bianca? Sono stati elaborati dei modelli che descrivono le caratteristiche che osserviamo, alcune ancora non del tutto chiare. La più intrigante di tali previsioni è la cristallizzazione del nucleo, che si verifica, come per il congelamento dell’acqua, nel momento di una particolare transizione di fase a una certa temperatura.
Questa congettura è stata formulata mezzo secolo fa, ma sinora non erano state rivelate evidenze di tale processo in corso. Durante la fase di cristallizzazione, viene rilasciata un’ingente quantità di calore latente che, conseguentemente, può frenare il raffreddamento per non meno di un miliardo di anni. Conoscere nel dettaglio tale processo permette quindi di riconoscerlo e di tenerlo in conto negli studi di datazione dei gruppi stellari.
La cristallizzazione è il processo in cui un materiale diventa solido con gli atomi che vanno a formare una struttura ordinata. Alle estreme pressioni nei nuclei delle nane bianche, gli atomi sono costretti a compattarsi tanto densamente da dover liberare gli elettroni, i quali vanno a formare un gas elettricamente conduttore governato dalla fisica quantistica. I nuclei caricati positivamente si presentano in un’esotica forma fluida, detto “plasma di Coulomb”. Quando la temperatura del nucleo scende a circa 10 milioni di gradi, il fluido inizia a solidificarsi, formando un nucleo metallico al suo centro con un mantello in carbonio.
Per la prima volta, tale processo è stato trovato da astronomi dell'Università di Warwick, guidatati da Pier-Emmanuel Tremblay. Il loro studio si basa in gran parte su dati ottenuti dal satellite Gaia dell'ESA. Il gruppo ha selezionato nei dati di Gaia un campione di 15 mila candidate nane bianche poste in un raggio di 300 anni luce dalla Terra, costruendo grafici basati sulla luminosità e il colore del campione.
È stato quindi possibile identificare un eccesso intorno a specifici valori, che non corrisponde ad alcuna particolare massa o età. Tale eccesso statistico, messo a confronto con i modelli evolutivi, concorda fortemente con la fase in cui gli ioni di carbonio e di ossigeno non degenerati rilasciano calore latente in grande quantità, rallentando il raffreddamento, quindi corrispondente alla fase di cristallizzazione da liquido a solido.
Si ritiene che l'ossigeno cristallizzi prima e poi affondi nel nucleo, con un processo simile alla sedimentazione. Questo spingerà il carbonio verso l'alto e formerà un suo strato esterno. Durante tale separazione, si libera energia gravitazionale e quindi calore.
Il processo di cristallizzazione coinvolge, presto o tardi, tutte le nane bianche e questo implica che miliardi di tali oggetti nella Via Lattea hanno già conosciuto tale evoluzione e si presentano essenzialmente come caldissime sfere di cristallo.
Giuseppe Donatiello
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09/01/2019 - Problemi alla Wide Field Camera 3 di Hubble
Problemi alla Wide Field Camera 3 di Hubble
Dalle 17:23 GMT dell’8 gennaio, la Wide Field Camera 3 (WFC3) del Telescopio Spaziale Hubble (HST) è fuori uso per un problema hardware. Lo ha comunicato la NASA, senza fornire dettagli sulle cause del guasto. Nello stesso comunicato l’ente spaziale statunitense ha informato che si tenterà di utilizzare l’elettronica di ridondanza per far ripartire il più importante strumento di ripresa imbarcato dal satellite.
Non è dato sapere quanto tempo ci vorrà per tentare di ripristinare la WFC3, giacché anche la NASA, così come altre agenzie governative federali, è parzialmente chiusa dallo scorso 22 dicembre, perché il Congresso e il presidente Trump non sono stati capaci di concordare un budget di esercizio.
Non bisogna comunque dimenticare che HST è uno strumento vetusto per gli standard astronautici, essendo in orbita ormai da quasi un trentennio. L’ultima missione di manutenzione risale al 2009 e proprio in tale circostanza fu installata la WFC3; nessun’altra manutenzione è stata più possibile con la chiusura del programma Space Shuttle nel 2011.
Hubble imbarca altre tre fotocamere funzionanti: la Advanced Camera for Surveys (ACS), lo Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS) e il Cosmic Origins Spectrograph (COS), che continuano a raccogliere regolarmente osservazioni. Così, anche se la WFC3 non dovesse essere ripristinata, il Telescopio Spaziale continuerà a produrre dati scientifici di qualità ancora per un certo tempo, nonostante qualche acciacco anche ai giroscopi che ne regolano l’assetto, almeno sino al passaggio di consegne al suo successore James Webb Space Telescope, ormai praticamente pronto.
Giuseppe Donatiello