Astronews a cura di Massimiliano Razzano
Fino al 13/11/2017 a cura di Piero Bianucci, fino al 20/01/2018 a cura di Luigi Bignami
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18/01/2018 - Tra “bastoni” e suoli grigiastri continua l’avventura di Curiosity
Tra “bastoni” e suoli grigiastri continua l’avventura di Curiosity
Cosa sta facendo Curiosity nel cratere Gale? E’ ormai giunto al 1937mo sol di lavoro e da pochissimi giorni è arrivato al punto chiamato “e”, un nome informale derivato da “eccitazione” per quel che i geologi si attendono dalle ricerche nel luogo. Spiega Christopher Edward, un geologo planetario della Northen Arizona University di Flagstaff: “Appena arrivati nel nuovo posto ci siamo chiesti se rimane per delle ricerche o se avanzare ancora, perché ci sono così tanti elementi da osservare e studiare nelle vicinznze che ci è risultato difficile fare una classifica delle priorità”.
Dopo una serie di discussioni i geologi sono giunti alla conclusione di dare risalto ai siti “Ross of Mull” e “Mcleans Nose”. Il primo riguarda un’area rocciosa con numerosi noduli che la caratterizzano, la seconda è un’area grigiastra un po’ diversa dalle zone circostanti. Tra l’altro si vuole approfondire quel che appare nell’immagine di apertura, ossia strutture che i ricercatori hanno chiamato “bastoni” e che stanno suscitando tanta curiosità scientifica. Al momento dunque quel che offre l’area richiederà diversi giorni di lavoro per soddisfare le richieste dei planetologi.
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13/01/2018 - Gli spuntini e i rigurgiti di un buco nero
Gli spuntini e i rigurgiti di un buco nero
Un gruppo di astronomi ha osservato nella galassia SDSS J1354+1327, distante dalla Terra 800 milioni di anni luce un buco nero supermassiccio il quale ha divorato degli spuntini gassosi per poi rigurgitare per ben due volte. Lo studio è stato realizzato utilizzando il telescopio spaziale Hubble, il telescopio spaziale a raggi X Chandra, il Keck Observatory a Mauna Kea alle Hawaii e l’Apache Point Observatory (APO) nel New Mexico. Chandra ha rilevato una luminosa sorgente puntiforme di emissione di raggi X proveniente da J1354, che ha permesso di capire che vi è la presenza di un buco nero supermassiccio, ossia con una massa milioni o miliardi di volte superiore a quella del Sole.
I raggi X vengono prodotti da gas portato a temperature di milioni di gradi dalle gigantesche energie in gioco in prossimità del buco nero. Una parte del gas cade nel buco nero, la restante viene emessa sotto forma di potenti deflussi di particelle ad alta energia. Confrontando le immagini a raggi X di Chandra e le immagini di Hubble in luce ottica il gruppo di astronomi ha capito che il buco nero è localizzato al centro della galassia. I dati nei raggi X forniscono inoltre evidenze che il buco nero supermassiccio in J1354 ha consumato grandi quantità di gas mentre dai suoi dintorni fuoriuscivano flussi di particelle ad alta energia. Ma si è potuto anche stabilire che le emissioni si sono interrotte per poi ricominciare circa 100.000 anni più tardi. Questo dimostra che i buchi neri attivi possono spegnere e riaccendere i loro potenti deflussi su tempi scala brevi rispetto all’età dell’Universo.
Ma perché il buco nero ha realizzato due pasti diversi? La risposta si trova nella presenza di una galassia compagna, collegata a J1354 da flussi di gas prodotti dalla collisione tra le due galassie. Gli astronomi hanno dedotto che accumuli di materiale provenienti dalla galassia compagna si sono diretti verso il centro di J1354 e sono stati divorati dal buco nero supermassiccio in tempi differenti. A nord del centro galattico è stata scoperta un’onda d’urto, localizzata a circa 3000 anni luce dal buco nero e rivelatrice di un secondo spuntino avvenuto circa 100.000 anni dopo.
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12/01/2018 - I grandi ghiacciai sepolti su Marte ora hanno un volto
I grandi ghiacciai sepolti su Marte ora hanno un volto
E’ noto da tempo, soprattutto grazie al lavoro della sonda dell’ESA Mars Express, che alle medie latitudini di Marte, subito sotto la crosta superficiale a pochi metri di profondità, sono presenti grandi depositi di ghiaccio d’acqua. Al momento non se ne conosca lo spessore e la precisa estensione ed inoltre non è chiaro quanto puro è il ghiaccio. In alcune aree però, l’erosione del vento ha prodotto delle fratture che hanno messo a nudo la struttura interna del corpo ghiacciato. Questo ha permesso di fotografarli, grazie alle capacità delle sonde in orbita attorno al Pianeta Rosso, come la Mars Reconaissance Orbiter (Mro) della Nasa. Ora uno studio realizzato da Colin Dundas dell’Astrogeology Science Center del U.S. Geological Survey, e i cui risultati sono ora pubblicati su Science – ha analizzato in dettaglio le fotografie di Mro che riguardano otto ripide scarpate che sono state prodotte dall’erosione e che hanno esposto una quantità considerevole di ghiaccio. Immagini successive a confronto hanno permesso di verificare che le fratture nel terreno si stanno allargando a causa della sublimazione del ghiaccio esposto (ossia del passaggio da solido a gas), con una velocità di qualche millimetro per ogni estate marziana. Basandosi anche sulla morfologia dei ghiacciai terrestri, i ricercatori hanno concluso che i depositi di ghiaccio d’acqua sono compatti, e potrebbero avere uno spessore di oltre 100 metri di spessore a partire da 2-3 metri da sotto la superficie. L’origine è incerta, ma potrebbero essersi formati dall’accumulo di nevicate avvenute durante periodi geologici, quando l’asse di rotazione del pianeta era particolarmente accentuata; nevi che ora si sono compattate in enormi ghiacciai fratturati e ora stratificati.
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10/01/2018 - Prende forma quel che sarà il più grande telescopio ottico-infrarosso al mondo, l'ELT
Prende forma quel che sarà il più grande telescopio ottico-infrarosso al mondo, l'ELT
I primi sei segmenti esagonali dello specchio principale del telescopio ELT (Extremely Large Telescope) dell'ESO sono stati fusi con successo dalla ditta tedesca SCHOTT nel proprio impianto di Magonza. I segmenti, che dovranno essere 798 in totale, andranno a formare lo specchio principale da 39 metri dell'ELT. L'ELT sarà il più grande telescopio ottico al mondo nel momento della prima luce nel 2024. Un tal gigante è troppo grande per essere costituito da un unico pezzo di vetro: sarà invece formato da 798 segmenti esagonali, ciascuno largo 1,4 metri e spesso solo circa 5 centrimetri. I segmenti funzioneranno tutti insieme come un unico, enorme specchio per raccogliere decine di milioni di volte più luce di quanto possa fare l'occhio umano. Marc Cayrel, responsabile dell'optomeccanica dell'ELT all'ESO, era presente durante la prima fusione:
'È stata una sensazione meravigliosa vedere i primi segmenti che venivano fusi. È veramente un traguardo importante per l'ELT! Analogamente allo specchio secondario, i segmenti dello specchio primario sono di Zerodur©, un materiale ceramico a basso coefficiente di espansione, prodotto dalla SCHOTT. La fusione dei primi segmenti è fondamentale perchè permette ai tecnici della SCHOTT di verificare e ottimizzare il processo di produzione, gli strumenti necessari e le procedure associate. Questo traguardo fondamentale è raggiunto, ma la strada è ancora lunga - in totale devono essere prodotti più di 900 segmenti (798 per lo specchio primario, oltre a un set di ricambio di 133) che andranno poi levigati. A regime, il tasso di produzione sarà di circa un segmento al giorno. Dopo la colata, i blocchi grezzi dei singoli segmenti subiranno un lento raffreddamento e quindi un nuovo riscaldamento, prima di essere fresati fino alla giusta forma e lucidati con una precisione di 15 nanometri su tutta la superficie ottica. La formatura e lucidatura verranno eseguite dalla ditta francese Safran Reosc, responsabile anche di ulteriori controlli
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09/01/2018 - La Cina porterà un ecosistema vivente sulla Luna
La Cina porterà un ecosistema vivente sulla Luna
Una missione cinese alla Luna che vuole realizzare un passo fondamentale nell'esplorazione umana del nostro satellite si realizzerà quest'anno in due fasi distinte e con due obiettivi distinti: raggiungere ed esplorare la faccia del nostro satellite naturale che non vediamo mai da Terra e contemporaneamente portare degli organismi viventi per verificare se sarà possibile realizzare un piccolo ecosistema che possa sopravvivere in un ambiente così ostile come quello lunare.
La missione si chiama Chang’e-4 e sarà composta da una sonda-satellite che verrà lanciata a luglio il quale entrerà in orbita attorno alla Luna per fare da ponte radio e televisivo ad un'altra sonda che partirà dopo sei mesi e che scenderà sulla superficie lunare invisibile da Terra con a bordo un rover. Per comunicare con gli scienziati il rover e la sonda utilizzeranno quella lanciata sei mesi prima.
Zhang Yuanxun, capo progettista del di una parte del Progetto Chang’e-4 ha detto al Chongqing Morning Post: “A bordo della sonda vi saranno delle patate, semi di arabidopsis e uova di bachi da seta. Le uova si schiuderanno dando vita ai bachi da seta che produrranno anidride carbonica, mentre le patate e i semi emetteranno ossigeno attraverso la fotosintesi. Insieme potranno creare un semplice ecosistema sul nostro satellite naturale”. Un passo fondamentale per creare serre che un giorno possano alimentare gruppi di astronauti che vivranno permanentemente sulla Luna
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04/01/2018 - La Terra e la Luna da 5 milioni di chilometri di distanza
La Terra e la Luna da 5 milioni di chilometri di distanza
La missione OSIRIS-REx (Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, and Security–Regolith Explorer) è una missione della NASA che farà parlare di sé quest’estate quando si avvicinerà all’’asteroide Bennu, un corpo roccioso che sembrerebbe essere ricco di carbonio che dunque di materiali organici precursori della vita. Dopo aver analizzato l’oggetto dall’orbita OSIRIS-REx scenderà lentamente fino a toccare la superficie così da permettere ad un sistema opportunamente studiato di recuperare un campione di suolo e portarlo sulla Terra. Al momento OSIRIS-REx sta rispondendo pienamente alle aspettative della NASA che con tale missione vuole rispondere a domande fondamentali della nascita del nostro sistema solare.
E’ risaputo infatti che lo studio e l’esplorazione degli asteroidi, resti del processo che ha condotto alla formazione dei pianeti, permette di acquisire informazioni proprio su quel periodo lontano della storia del nostro Sistema Solare. In attesa dei momenti più scientifici della missione la sonda “ha voluto” inviarci a Terra una straordinaria immagine, di quelle che rimangono nella memoria di tutti: il nostro piccolo pianeta blu con il suo satellite. Una fotografia scattata dallo strumento MapCam da oltre 5 milioni di chilometri dalla Terra (circa 13 volte la distanza Terra-Luna) mostra come poco altre fotografie del nostro pianeta le reali microscopiche dimensioni del nostro pianeta sospeso in un mare di nulla.
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31/12/2017 - Urano muta i colori a causa del Sole
Urano muta i colori a causa del Sole
Secondo uno studio pubblicato su Geophysical Research Letters i mutamenti periodici nell’attività del Sole sono in grado di influenzare colori dell’atmosfera e origine delle nuvole di Urano, il penultimo pianeta del sistema solare, il quale impiega 84 anni terrestri per percorrere un’orbita completa. La ricerca ha permesso di scoprire che, pur tenendo conto delle lunghe stagioni che caratterizzano Urano, il pianeta appare più brillante e più debole nel corso di un ciclo solare di 11 anni. Si tratta del regolare ciclo dell’attività solare, che fa aumentare e diminuire il numero delle macchie solari della sua superficie. Karen Aplin della Oxford University ha spiegato: “L’atmosfera che avvolge Urano è tra le più fredde del Sistema Solare, ma al suo interno vi sono nubi e ghiaccio, proprio come nell’atmosfera terrestre. Le variazioni in luminosità del pianeta dicono che nel corso del tempo si hanno variazioni nella consistenza delle nubi e nel colore dell’atmosfera. Abbiamo trovato che il cambiamento è dovuto a due elementi: uno è legato alla chimica dell’atmosfera, la quale sottoposta a variazioni di luce solare ultravioletta altera il colore in seguito a trasformazioni chimiche di sostanze presenti al suo interno. L’altro è dovuto a particelle ad alta velocità provenienti dall’esterno del Sistema Solare, i raggi cosmici, che bombardano l’atmosfera e hanno influenza sulla formazione delle nubi”. Un fenomeno che vari studi dicono che avviene anche sulla Terra. Giles Harrison dell’University of Reading, coautore dello studio, ha aggiunto: “Il Sole ha un campo magnetico, che devia i raggi cosmici provenienti dallo spazio lontano dal Sistema Solare. Tale protezione si riduce quando l’attività del Sole è a livelli minimi, mediamente ogni 11 anni, il che implica che una quantità maggiore di raggi cosmici raggiungano i pianeti del Sistema Solare. L’atmosfera di Urano, come quella di Nettuno, viene influenzata dalle particelle energetiche in arrivo ed è quasi incredibile il fatto che gli effetti siano visibili anche dalla Terra, a oltre due miliardi di chilometri di distanza”. Lo studio è stato realizzato utilizzando i telescopi terrestri, ma anche dati provenienti dalla sonda Voyager 2.
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29/12/2017 - Un “Heavy metal” tra gli esopianeti
Un “Heavy metal” tra gli esopianeti
Un gruppo di astronomi di varie nazionalità ha dimostrato che l’esopianeta noto come K2-106b, il quale possiede un raggio una volta e mezzo quello terrestre, è così denso che lo si spiega solo ipotizzando che sia composto per lo più da ferro e metalli pesanti. Una dimostrazione del fatto che gli esopianeti possono presentare caratteristiche molto diverse rispetto ai pianeti rocciosi del Sistema Solare. Il pianeta ha un diametro relativamente piccolo, ma una massa che è 8 volte superiore a quella terrestre e dunque una densità molto elevata al punto da sorprendere gli astronomi per la sua densità. Eike Guenther del Thuringian State Observatory in Germania e vari colleghi hanno utilizzato vari telescopi per studiare la stella EPIC 220674823, K2-106, una stella più piccola del Sole che dista 825 anni luce dalla Terra. Attorno ad essa orbitano due super-Terre: K2-106 b le orbita attorno ogni 14 ore e dunque viene classificato come un “ultra-short period planets”, pianeti con periodo ultrabreve, in quanto la sua orbita è inferiore alle 24 ore. Un periodo orbitale così breve è insolito, ma lo è ancor di più la densità di K2-106 b, che risulta oltre il doppio di quella terrestre. Utilizzare due metodi differenti per osservare la stella e analizzare i pianeti in orbita, il metodo del transito e quello della velocità radiale, ha permesso ai ricercatori di misurarne il raggio e la massa, e quindi di ricavare la densità.
Per spiegare una simile densità è necessario ipotizzare che K2-106b è composto per l’80 percento di ferro e altri metalli pesanti, tanto da essere stato chiamato il pianeta “heavy metal”. Lo studio è stato pubblicato su Astronomy & Astrophysics.
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26/12/2017 - Un drone su Titano, una luna di Saturno, e un campione da una cometa sono le nuove missioni della ...
Un drone su Titano, una luna di Saturno, e un campione da una cometa sono le nuove missioni della NASA
La NASA ha fatto sapere quali saranno le missione interplanetarie del prossimo decennio. Una scenderà sulla cometa Churyumov-Gerasimenko per raccogliere un campione, un’altra studierà la luna Titano con un drone. Dragonfly, questo il nome del drone che verrà lanciato su Titano, sarà alimentato da una sorgente a radioisotopi e potrà spostarsi in diversi luoghi della luna analizzandone la superficie e l'atmosfera. E’ questa una delle due missioni selezionate dalla NASA che lasceranno la Terra a partire dalla prossima metà degli anni venti per esplorare il nostro sistema solare nell’ambito del Progetto New Frontiers. La seconda missione selezionata dalla NASA si chiama CAESAR (Comet Astrobiology Exploration Sample Return) e vedrà una sonda avvicinarsi alla cometa Churyumov-Gerasimenko (che negli scorsi anni venne studiata da vicino dalla sonda Rosetta dell'Agenzia Spaziale Europea) e dalla quale raccoglierà un campione di suolo per essere riportato a Terra. Risulterà così molto interessante non solo poter analizzare il suolo cometario in un laboratorio molto sofisticato sul nostro pianeta, ma anche poter osservare cosa è avvenuto sulla cometa a distanza di diversi anni da uno studio ravvicinato all'altro.
Un’esplorazione a tappeto Dragonfly sarà una vera e propria svolta nell'esplorazione di oggetti del sistema solare. Fino ad oggi infatti sul nostro satellite naturale o su altri pianeti sono scese delle sonde oppure dei rover che hanno potuto esplorare aree relativamente vicine al punto di atterraggio. Opportunity ad esempio, che ha realizzato il percorso più lungo tra tutti i rover planetari si è spinto fino a 45 chilometri dal punto di atterraggio. Con una “libellula” che potrà sfruttare l'atmosfera del satellite Titano per potersi sostenere e muoversi esattamente come fanno i droni sulla Terra, le aree che si potranno studiare saranno molto diverse e lontane le une dalle altre. Titano è ricoperto da una superficie di metano ghiacciato, ma possiede anche laghi profondi più di 100 metri composti da metano ed etano liquidi e non ultimo vi sono anche fiumi che trasportano questi materiali liquidi che hanno scavato valli e canyon. Un ambiente che seppur estremamente freddo potrebbe comunque nascondere gli elementi primordiali della vita. Poter osservare e studiare luoghi posti a centinaia di chilometri l'uno dall'altro in modo molto ravvicinato potrà dare agli scienziati un volto del satellite che non si riesce ad avere dallo spazio, in quanto la densa atmosfera non permette studi approfonditi della sua superficie. E’ vero che su di esso scese la sonda Huygens nel 2005, ma la sia vita fu di poche ore e poche furono le immagini che riuscì ad inviare a Terra. Hanno permesso di capire comunque, che la superficie di Titano è estremamente varia e che vale realmente la pena un'esplorazione a tappeto.
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21/12/2017 - Un pianeta che più strano non si può
Un pianeta che più strano non si può
Non c'è limite alla stranezza nel mondo dei pianeti extrasolari. Un gruppo di astronomi dell'Università di Ginevra ha messo in luce come lo strano esopianeta GJ 436b, che si trova a 33 anni luce dalla Terra nella costellazione del Leone, è molto più strano di quanto si ipotizzava in precedenza. Si conosceva che quel mondo alieno sta perdendo la sua atmosfera e lascia dietro se è una vera e propria coda composta soprattutto da idrogeno, che lo fa assomigliare ad una cometa. Ora si è scoperto che questo oggetto possiede anche un'orbita del tutto insolita per un pianeta.
Stando ai dati finora in possesso dei ricercatori GJ 436b è un pianeta come dimensioni simili a quelle di Nettuno e quando lo si osserva in luce ultravioletta si vede l’enorme coda di gas. Impiega meno di 3 giorni a completare l'orbita attorno alla sua Stella madre, una nana rossa. Sembra che la perdita dell'atmosfera sia legata proprio a quel sole che emette un'intensa radiazione. Ma quel che rende ancor più strano il pianeta è, come si diceva, la sua orbita che risulta essere polare, ossia anziché ruotare lungo il piano dell'equatore come fa la maggior parte dei pianeti GJ 436b ruota molto vicino ai poli della stella. Tra l'altro l'orbita stessa è molto eccentrica.
Spiega Vincent Bourrier, ricercatore del Department of Astronomy alla UNIGE: “Il pianeta è sottoposto a spaventose forze mareali perché è molto vicino alla sua stella, in pratica la distanza tra pianeta e sole equivale a solo il 3% della distanza che c'è tra la Terra e il nostro Sole. Tuttavia questa situazione dovrebbe far sì che il pianeta venga ad avere una orbita circolare, ma non è questo il caso”. Per spiegare questa strana situazione i ricercatori ipotizzano che il pianeta non sia sempre stato così vicino alla sua stella ma potrebbe essere migrato in tempi recenti a causa dell'azione della forza di gravità di un pianeta compagno che tuttavia non è ancora stato individuato. A questa deduzione i ricercatori sono giunti attraverso modelli matematici che spiegherebbero molto bene la storia e la situazione attuale di GJ 436b.