Astronews a cura di Massimiliano Razzano
Fino al 13/11/2017 a cura di Piero Bianucci, fino al 20/01/2018 a cura di Luigi Bignami
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18/12/2017 - 2014 MU69 il prossimo obiettivo della New Horizon potrebbe avere una luna
2014 MU69 il prossimo obiettivo della New Horizon potrebbe avere una luna
Dopo aver sorvolato Plutone la missione della NASA New Horizons è in corsa verso 2014 MU69, un oggetto che appartiene alla Fascia di Kuiper e che raggiungerà il 1° gennaio 2019. Stando all’elaborazione dati raccolti dallo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (SOFIA) lo scorso luglio, durante un’occultazione, si è fatta avanti l’ipotesi che attorno a 2014 MU69 vi sia una piccola luna. Spiega Marc Buie, che fa parte del gruppo di lavoro della New Horizons: “Il vero volto di MU69 lo avremo solo dopo l’incontro tra New Horizons e l’oggetto. Ma fin d’ora, più lo esaminiamo, più si rivela interessante e sorprendente”. SOFIA ha raccolto i dati nel corso di sei settimane tra giugno e luglio, quando 2014 MU69 passava di fronte ad una stella di fondo.
Oltre a SOFIA sono stati numerosi i telescopi terrestri che hanno puntato il loro occhio durante tale evento ed hanno confermato quanto osservato dal telescopio SOFIA, che vola a bordo di un aereo. I risultati dicono che la forma di 2014 MU69 è molto particolare: c’è chi lo paragona assomiglia ad un pallone da football e in tal caso si allungherebbe per circa 30 chilometri, ma non è da escludere che potrebbe trattarsi di due oggetti così vicini tra loro che sembrano toccarsi reciprocamente e in tal caso ognuno avrebbe un diametro di circa 15-20 chilometri
MU69 venne scoperto nel 2014 e si trova ad oltre 6,5 miliardi di chilometri dalla Terra. Come tutti gli oggetti della Fascia di Kuiper anche questi racconterà elementi fondamentali sulla storia del nostro sistema solare ed è per questo che l’attesa del sorvolo è grande tra gli scienziati.
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16/12/2017 - Cerere, un pianeta (nano) più vivo che mai
Cerere, un pianeta (nano) più vivo che mai
Il quadro che abbiamo del pianeta nano Cerere si fa sempre più preciso ed intrigante. Se fossimo a bordo della sonda Dawn della NASA, che ancora gli vola attorno, la superficie del pianeta ci apparirebbe piuttosto scura, ma non mancherebbero alcune eccezioni: centinaia di aree scintillanti. Sono ben visibili nelle fotografie che la sonda invia a Terra. E per i planetologi sono una sfida per capire come si comporta la geologia di Cerere che dice sembra essere ancora un pianeta attivo. Spiega Carol Raymond del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena: “Le misteriose macchie brillanti che hanno affascinato sia il gruppo di lavoro di Dawn che il grande pubblico, ci parlano dell’esistenza di un antico oceano sotto la superficie di Cerere e indicano che, ben lontano da essere un mondo morto, il pianeta è attivo. Queste aree brillanti sono state create da processi geologici e ancora oggi sono in grado di cambiare il volto di Cerere”.
Sono oltre 300 le aree brillanti fin qui scoperte. Un nuovo studio realizzato da Nathan Stein del Caltech e pubblicato su Icarus suddivide le strutture di Cerere in quattro categorie:
1) macchie brillanti con il materiale più riflettente, che è stato scoperto sul fondo di crateri. Gli esempi più famosi sono nel Cratere Occator, che ospita due importanti aree luminose. Cerealia Facula, nel centro, consiste di materiale brillante che copre una fossa ampia 10 chilometri, all’interno della quale si erge una piccola cupola. A est del centro si trova un insieme di formazioni leggermente meno riflettenti e più sparse, chiamate Vinalia Faculae. Tutto il materiale nel cratere Occator è ricco di sali, e un tempo probabilmente era mescolato con acqua. Sebbene Cerealia Facula sia l’area più brillante su Cerere, all’occhio umano potrebbe sembrare neve sporca. La spiegazione principale per tutto questo è da ricercare nel fatto che il pianeta possa aver avuto, almeno in un passato recente, una riserva di acqua salata al di sotto della superficie. Le regioni di Vinalia Faculae potrebbero essersi formate da un fluido portato verso la superficie da una piccola quantità di gas, in modo simile a quando lo champagne sprizza dalla bottiglia alla rimozione del tappo.
2) materiale brillante scoperto sui bordi di crateri, che forma striature che si allungano verso il fondo. Probabilmente sono legate all’impatto di corpi esterni hanno lasciato esposto materiale che si trovava sotto la superficie o che si era formato durante un precedente evento di impatto.
3) materiale brillante espulso quando si sono formati i crateri.
4) ne fa parte il monte Ahuna Mons, il solo caso su Cerere in cui il materiale brillante non sia connesso con crateri da impatto. Probabilmente si tratta di un criovulcano, un vulcano formato dall’accumulo graduale di spessi materiali ghiacciati, presenta evidenti striature luminose lungo i fianchi.
Nel corso di centinaia di milioni di anni il materiale brillante si è mischiato con il materiale scuro che forma la superficie di Cerere, così come con detriti espulsi durante impatti. Questo significa che miliardi di anni fa, quando Cerere sperimentò più impatti, la superficie del pianeta nano doveva essere punteggiata di migliaia di aree brillanti che poi sono state via via nascoste dagli eventi successivi
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15/12/2017 - Ecco il sistema solare con otto pianeti. Grazie all'intelligenza artificiale di Google che ha ...
Ecco il sistema solare con otto pianeti. Grazie all'intelligenza artificiale di Google che ha collaborato con la NASA
Ora sappiamo che il nostro sistema solare non è l’unico ad avere 8 pianeti (più centinaia di pianeti nani). C’è anche la stella Kepler-90, lontana ben 2.545 anni luce, ad averne otto. La scoperta è stata annunciata dalla NASA. Questa volta si è resa possibile non solo graziue all’attività del telescopio spaziale Kepler, ma anche all'intelligenza artificiale di Google, che ha analizzato i dati relativi ai 35.000 potenziali pianeti extrasolari ottenuti dal telescopio stesso.
L'ultimo esopianeta scoperto, Kepler-90i, ha un diametro del 30% superiore a quello della Terra e si trova ad occupare il 3° posto per distanza dalla propria stella. Ma a differenza del nostro pianeta Kepler-90i è molto vicino ad essa, poco più di un decimo della distanza Terra-Sole, e le orbita attorno in soli 14,4 giorni. Gli astronomi della Nasa hanno calcolato che la superficie del pianeta abbia una temperatura di più di 400 gradi, decisamente troppo calda per ospitare acqua liquida e di conseguenza la vita.
Da anni il telescopio Kepler aveva registrato il transito di questi pianeti e, anche senza l’ausilio di Google, sette di loro erano già stati trovati. E’ per l’ottavo che c’è voluta l'intelligenza “artificiale”, che è riuscita ad estrarre la sua presenza dall'enorme mole di dati a disposizione. L'intelligenza artificiale di Google aveva fatto esperienza con i dati di 15.000 altri sistemi osservati da Kepler e coi relativi risultati ottenuti dagli astronomi. La collaborazione Nasa-Google ha permesso di scovare non solo questo pianeta, ma anche un sesto pianeta in un altro sistema, quello della stella Kepler 80.
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13/12/2017 - Domani Paolo Nespoli ritorna a casa, dopo 139 giorni trascorsi sulla ISS
Domani Paolo Nespoli ritorna a casa, dopo 139 giorni trascorsi sulla ISS
Il 28 luglio 2017 Paolo Nespoli partiva, alle 17:41 ora italiana dalla base Russa di Baikonur in Kazakistan per la sua terza missione nello spazio. Con lui il comandante russo Sergej Ryazansky e l’americano Randy Bresnik. La missione è stata soprannominata VITA, acronimo di Vitality, Innovation, Technology, Ability. Durante la missione Nespoli ha avuto il compito di eseguire circa 200 esperimenti, di cui 11 vennero selezionati dall'Agenzia Spaziale Italiana. La maggior parte degli esperimenti rientrano nel campo biomedico, il resto in quello tecnologico. A bordo della Stazione Spaziale tutto è stato realizzato come da programma. Nespoli è stato anche colui che ha collaborato alla cattura delle navette spaziali Dragon e Cygnus che hanno portato rifornimenti agli astronauti. Numerosi sono stati i collegamenti con la Terra, innanzitutto con gli studenti, ma anche con Papa Francesco e il Presidente della Repubblica Mattarella. Dallo spazio Nespoli ha osservato i violenti uragani che hanno imperversato sull'oceano Atlantico durante l'autunno, fotografando il loro movimento. E tra i momenti certamente più emozionanti vi è stata l’osservazione dell’eclissi che in agosto ha interessato gli Stati Uniti. Al termine di questa missione fissata per domani giovedì 14 dicembre alle ore 9:38 (ora italiana) Nespoli batterà numerosi record: sarà l'astronauta italiano che avrà trascorso il maggior numero di giorni nello spazio e diventerà l'astronauta europeo più anziano ad essere mai andato oltre l’atmosfera terrestre con i suoi poco più di 60 anni al momento del lancio.
Ci sono tre modi per seguire la Diretta dell'arrivo:
1) collegarsi con il portale dell'ESA.int a partire dalle
2) collegarsi con la TV Alpha (Canale 59) che seguirà l'avvenimento a parte dalle 9:15 con Umberto Guidoni
3) i vari Tg-news: seguiranno solo i momenti più vicini all'arrivo della navicella
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09/12/2017 - I due pianeti di K2-18
I due pianeti di K2-18
Grazie ad una ricerca dell’European Southern Observatory (ESO) si è riusciti a determinare che l’esopianeta chiamato K2-18b potrebbe essere una super-Terra e che potrebbe non essere siolo attorno alla sua stella, ma avere almeno un compagno. I due mondi orbitano attorno a K2-18, una stella nana rossa che si trova a 111 anni luce di distanza dal nostro sistema solare nella Costellazione del Leone. Spiega Ryan Cloutier dell’Université de Montréal Institute for research on exoplanets (iREx) che ha realizzato la ricerca: “Essere riusciti a determinare la massa e la densità di K2-18b è stato avvincente, ma scoprire un nuovo esopianeta è stato ancor più esaltante”. Il primo pianeta, K2-18b, venne portato alla luce nel 2015 e si scoprì che si trovava all’interno della zona abitabile, il che lo rendeva un candidato ideale per ospitare acqua liquida in superficie, un elemento fondamentale perché possa esistere la vita come ci è nota.
L’insieme di dati utilizzato dai ricercatori proveniva dall’High Accuracy Radial Velocity Planet Searcher (HARPS) sul telescopio da 3.6m dell’ESO all’osservatorio di La Silla, in Cile, permette la misurazione di velocità radiali delle stelle e l’individuazione di pianeti in orbita attorno ad esse. Grazie ai dati i ricercatori sono stati in grado di verificare che K2-18b ha una massa tra 8 e 10 volte quella della Terra, con raggio circa 2 volte quello terrestre e di determinare che il pianeta potrebbe essere in gran parte roccioso e forse possiede una sottile atmosfera gassosa. In alternativa potrebbe trattarsi di un mondo oceanico, ricco d’acqua con uno strato di ghiaccio in superficie. “Con i dati attuali non siamo in grado di definire una delle due possibilità”, ha detto Cloutier. “Sarà il telescopio James Webb ad indagare il pianeta e vedere se ha un’atmosfera estesa o se è ricoperto d’acqua”.
Secondo il gruppo di ricerca K2-18b è uno degli obiettivi migliori per lo studio dell’atmosfera. Mentre osservava i dati relativi al pianeta Cloutier ha notato qualcosa di insolito: in aggiunta ad un segnale ripetuto ogni 39 giorni, dovuto alla rotazione di K2-18, e uno ogni 33 giorni dovuto all’orbita di K2-18b, ha notato un altro segnale ogni nove giorni, probabile indizio della presenza di un altro pianeta. Questo secondo pianeta orbita più vicino alla sua stella e dunque è troppo caldo per poter sostenere la vita, anche se potrebbe trattarsi di un’altra super-Terra.
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07/12/2017 - Il più distante buco nero dell'Universo mai visto
Il più distante buco nero dell'Universo mai visto
L'Universo aveva solo 690 milioni di anni, ossia solo il 5% della sua età, quando la luce emessa dalla galassia che conteneva un buco nero iniziava il suo viaggio attraverso l'Universo. Ora un gruppo di astronomi della Carniege Insitution, guidati da Eduardos Bagnados, utilizzando il telescopio Magellano, è riuscito a cogliere la luce del “quasar” che lo conteneva al suo nucleo. I quasar sono oggetti estremamente luminosi composti da enormi buchi neri che si stanno accrescendo e che si trovano nelle cuore di galassie molto massicce. Il buco nero appena scoperto, che risulta così il più antico è il più lontano mai osservato dall'uomo, ha una massa che è paragonabile a 800 milioni di volte quella del nostro Sole. “Riuscire a spiegare come un buco nero sia riuscito in soli 690 milioni di anni a raccogliere tutto il materiale che lo compone è una vera e propria sfida per le teorie che spiegano la nascita e la crescita dei buchi neri supermassicci”, ha spiegato Banados.
Affinché questo possa essere successo è necessario ipotizzare che l'universo molto giovane doveva possedere condizioni tali da permettere la nascita di buchi neri con masse che raggiungevano centomila volte quella del Sole. Condizioni estremamente diverse rispetto a quelle che portano alla nascita di buchi neri ai nostri giorni, che raramente superano le poche decine di volte la massa del nostro Sole. Il quasar che è stato scoperto da Banados è estremamente interessante perché ci arriva da quel periodo della storia dell’Universo noto come “epoca della reionizzazione”, un periodo che vide “emergere la luce” dopo secoli di buio totale.
Va ricordato infatti, che il Big Bang diede il via all'Universo dando origine ad una “torbida zuppa” di particelle estremamente ricche di energia che andavano espandendosi. Mentre ciò avveniva il tutto si raffreddava. Dopo circa 400.000 anni, un tempo brevissimo su scala cosmica, quel materiale raffreddato divenne un gas composto da idrogeno neutro. L'Universo era oscuro però, perché non aveva sorgenti luminose, fin quando la gravità della materia andò a condensare le prime stelle e conseguentemente le prime galassie. L'energia rilasciata da quelle antiche galassie ha fatto sì che l'idrogeno neutro sparso in tutto l'universo venisse ionizzato, ossia gli venisse strappato un elettrone, uno stato dell'idrogeno che è rimasto tale fin da allora. Una volta che l'Universo subì tale reionizzazione i “fotoni” iniziarono a viaggiare liberamente nello spazio, e come si sa i fotoni trasportano l'energia di ciò che noi chiamiamo luce. Le analisi del quasar che è stato scoperto da Banados dicono che esso si trova immerso nell'idrogeno neutro e questo sta a dire che si formò in un periodo molto vicino alla reionizzazione.La distanza del quasar da noi la si è potuta determinare grazie allo “spostamento verso il rosso” della luce che esso emetteva, una misura, chiamata redshift, che permette di dire quanta strada ha percorso prima di arrivare a noi: maggiore è la distanza di un oggetto che noi osserviamo, più alto è il redshift. Il quasar in questione ha un redshift di 7.54 il che indica che ci sono voluti più di 13 miliardi di anni perché la sua luce potesse raggiungere il telescopio Magellano.
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05/12/2017 - Un getto abnorme di energia colto da un telescopio della Val d’Aosta
Un getto abnorme di energia colto da un telescopio della Val d’Aosta
Era la notte del 30 novembre 2016 quando Paolo Calcidese, responsabile del progetto “Nuclei Galattici Attivi” lanciato nel 2006, stava osservando la galassia CTA 102 nella costellazione di Pegaso. Ad un certo punto si accorse che la luce che stava per giungere al telescopio diventava sempre più intensa. Se non ci fosse stato l'occhio di un astronomo una persona inesperta l'avrebbe scambiata per una stella molto luminosa entrata nel campo visivo. Era così brillante che la si sarebbe potuta vedere anche con un piccolo telescopio di 8 cm di diametro. Nelle notti successive CTA 102 era diventata 200 volte più luminosa del normale. A questo punto veniva allertata la comunità scientifica mondiale affinché telescopi più potenti e disponibili puntassero in quella direzione del cielo. Dopo una quindicina di giorni la luminosità che giungeva da quella Galassia era 300 volte più intensa del solito. Un record assoluto. Ora, a distanza di circa un anno da quelle osservazioni, una possibile spiegazione di quel che avvenne è stata pubblicata sulla rivista Nature.
Quel che venne osservato in quelle notti à senza dubbio il prodotto dell'attività di un buco nero. Quando la materia che viene catturata da un buco nero inizia a spiralizzare intorno ad esso prima di essere inghiottita definitivamente si scalda a tal punto da emettere una enorme quantità di onde elettromagnetiche. Inoltre l'interazione che viene a formarsi tra la materia presente nel disco e il buco nero origina talvolta due getti di plasma con direzione opposta e questi producono un ulteriore emissione di energia.
Rimane ancora in parte misterioso il motivo per cui si osserva una variazione di luminosità come quella colta da Calcidese. Una delle ipotesi avanzate per spiegare il fenomeno è quasi fantascientifica: vuole che nel cuore della galassia CTA 102 vi sia un sistema composto da due buchi neri supermassivi i quali orbitano uno attorno all'altro obbligando i getti che fuoriescono dai buchi neri ad ondeggiare e quindi ad emettere energia variabile. Solo ulteriori osservazioni Tuttavia potranno confermare o meno questa ipotesi.
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04/12/2017 - La Voyager 1 accende i motori dopo 37 anni di inattività
La Voyager 1 accende i motori dopo 37 anni di inattività
Dopo 37 anni di inattività, i retrorazzi della sonda Voyager 1 destinati inizialmente alle correzioni di rotta sono stati riattivati con successo e questo potrebbe aiutare ad allungare ulteriormente la vita della mitica sonda spaziale. Ci sono riusciti gli ingegneri della NASA in un’impresa che ha quasi dell'incredibile.
La sonda, che insieme alla gemella Voyager 2 ha recentemente festeggiato i 40 anni dal lancio, continua a funzionare e a trasmettere importanti informazioni sull’ambiente oltre il sistema solare: informazioni sul plasma e sui raggi cosmici che per raggiungere la Terra impiegano 19 ore e 35 minuti in quanto le due sondi si trovano ad oltre 21 miliardi di km. Le comunicazioni si possono realizzare grazie a piccole manovra che consentono all'antenna del veicolo di rimanere orientata verso la Terra. I razzi sparano periodicamente piccoli impulsi, o 'sbuffi', della durata di pochi millisecondi, consumando ogni volta una frazione di grammo di idrazina.
Su Voyager-1 c'è un gruppo di quattro propulsori destinati alle 'manovre di correzione della traiettoria' situati sul lato posteriore della sonda; anche se sono identici, per dimensioni e funzionalità, ai propulsori di controllo di assetto, finora erano stati usati solo in modalità di accensione prolungata e non per brevi impulsi. A partire dal 2014, tuttavia, gli ingegneri hanno notato che i propulsori di assetto mostravano un degrado perchè dovevano effettuare più spinte del solito per sviluppare la stessa quantità di energia. Un gruppo di esperti al JPL ha studiato il problema e ha previsto in che modo la sonda spaziale avrebbe risposto in diversi scenari, optando per la riattivazione (tutt'altro che certa) dei propulsori TCM. Nei giorni scorsi gli ingegneri hanno attivato i quattro propulsori TCM per la prima volta in 37 anni e hanno testato la loro capacità di orientare l'astronave utilizzando impulsi di 10 millisecondi. Il team ha atteso con impazienza l'arrivo dei dati di telemetria e mercoledì ha appreso che i propulsori del TCM funzionavano perfettamente, altrettanto bene dei propulsori del controllo di assetto. Il piano adesso è di passare a utilizzare per le correzioni d'assetto i propulsori TCM a partire da gennaio. Per effettuare il cambiamento, la Voyager deve accendere un piccolo riscaldatore per ogni propulsore, il che richiede energia; purtroppo quest'ultima è una risorsa limitata e che sta diventando critica dato l'imminente esaurimento delle batterie a radioisotopi, tra pochi anni. Quando non ci sarà più energia sufficiente per far funzionare i riscaldatori, la squadra tornerà ai propulsori di controllo di assetto ma, nel frattempo, si sarà risparmiata l'altra risorsa critica, quella di idrazina. Con questi propulsori, che sono ancora funzionanti dopo 37 anni di inattività, si porà estendere la vita del veicolo spaziale di due o tre anni
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03/12/2017 - L’Agenzia Spaziale Europea avrà il suo Shuttle
L’Agenzia Spaziale Europea avrà il suo Shuttle
Con un accordo siglato presso la sede ESA di Parigi del valore di 36.7 milioni di euro, tra il Direttore ESA dei Trasporti Spaziali Daniel Neuenschwander, il vice Presidente del Dominio Esplorazione e Scienza di Thales Alenia Space Walter Cugno e dal Direttore Generale di ELV Andrea Preve si è dato il compito a Thales Alenia Space e ELV di completare gli studi di e lo sviluppo dell'architettura di sistema per il programma Space Rider fino alla fase di revisione critica di progetto, ossia fino alla possibile realizzazione.
Space Rider fornirà all'Europa una navetta competitiva e riutilizzabile per l'accesso e il rientro dallo spazio, con una capacità di carico utile fino ad 800 kg su di un insieme di orbite a differenti altezze ed inclinazioni per molteplici applicazioni quali studi avanzati sulla microgravità, validazione e dimostrazione in orbita di tecnologie per l'osservazione della Terra, la scienza applicata, le telecomunicazioni e l'esplorazione robotica. La navicella potrà anche avvicinarsi alla Stazione Spaziale Internazionale per caricarsi di esperimenti da riportare a Terra.
Space Rider sarà lanciato dalla base europea di Kourou, nella Guyana francese, raggiungendo l'orbita preposta e rimanendovi per tutto il tempo necessario ad eseguire le operazioni richieste dai diversi carichi utili, ivi incluse le operazioni di de-orbiting e di rientro, eseguendo un atterraggio sulla terraferma, garantendo la possibilità di riconsegnare i carichi utili agli utenti finali, e avendo inoltre la capacità di poster essere ricondizionato e riutilizzato per una missione successiva. La navicella verrà lanciata da un razzo Vega nella versione “C”.
ELV invece, svilupperà e validerà attraverso diverse campagne di test un nuovo stadio superiore europeo, atto ad asservire le evoluzioni del lanciatore Vega oltre il 2025, basato su un sistema di propulsione a basso costo alimentato ad ossigeno e metano liquidi. Tale motore andrà a sostituire gli attuali motori a propellente solido - Zefiro-9 - e a propellente liquido dello stadio superiore - AVUM - garantendo le stesse prestazioni di Vega-C a costi sensibilmente ridotti e con una maggiore flessibilità.
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02/12/2017 - L'India sulla Luna tra meno di 4 mesi
L'India sulla Luna tra meno di 4 mesi
Il lancio di una prossima missione lunare potrebbe realizzarsi entro il prossimo mese di marzo da parte dell’India. Il Paese prevede di lanciare l'ambizioso progetto, chiamato Chandrayaan-2, costituito una sonda che entrerà in orbita attorno al nostro satellite, da un lander è da un piccolo rover. “Questo potrebbe essere un trampolino di lancio per le future missioni di esplorazione di altri pianeti”, ha detto Mylswamy Annadurai, Direttore dello Space Research Organisation Satellite Centre. La sonda madre porterà a bordo 8 strumenti e si porrà in orbita attorno ai poli della Luna ad una distanza di 100 km dalla superficie. Dovrebbe avere una vita di circa un anno. Molto inferiore invece, dovrebbe essere la sopravvivenza sul suolo lunare del lander e del rover, che dovrebbero lavorare per la durata di un giorno lunare, circa 14 giorni terrestri.
La partenza del razzo Mark 2, in una nuova versione che lo rende più potente rispetto ai suoi precessori, avverrà dalla base di lancio di Sriharikota. Complessivamente la sonda peserà 3.250 kg, molto di più della sonda che la precedente attorno alla Luna nel 2008, la Chandrayaan-1. Il trasferimento dalla Terra alla Luna sarà piuttosto lungo rispetto alle missioni Apollo, che portarono gli uomini attorno con una traiettoria diretta e durava all'incirca 3 giorni. Nel caso di Chandrayaan-2 invece, si è previsto di parcheggiarla attorno alla Terra allargando sempre di più la sua orbita ellittica finché, ad un certo punto, sarà così vicina alla Luna che basterà una breve accensione dei motori per far sì che la sonda si sposti dal campo gravitazionale terrestre a quello lunare. A quel punto inizierà una serie di rivoluzione attorno alla Luna e da un'orbita ellittica si sposterà su un orbita circolare. L’operazione dovrebbe durare circa 3 settimane.
Il lander atterrerà in prossimità del Polo Sud, dove vi sono dei crateri all'interno dei quali vi è del ghiaccio. L'allunaggio avverrà in modo del tutto autonomo grazie ad un computer di bordo che confronterà le immagini che avrà in memoria con quanto mostreranno le macchine fotografiche. Dopo poche ore dall’atterraggio verrà fatto scendere il rover per iniziare l’esplorazione. Dovrà sfruttare al massimo la luce del giorno lunare in quanto le batterie saranno ricaricate da pannelli solari. Date le piccole dimensioni sono stati previsti pochi strumenti a bordo: vi saranno macchine fotografiche e due tipi di spettrometri, ossia strumenti in grado di analizzare le rocce trovate lungo il percorso; lecomunicazioni tra il rovere e la Terra passeranno dal lander e dunque la piccola autovettura non potrà nascondersi dietro massi o all'interno di crateri in quanto verrebbe a mancare la possibilità di trasmettere le informazioni.