Astronews a cura di Massimiliano Razzano
Fino al 13/11/2017 a cura di Piero Bianucci, fino al 20/01/2018 a cura di Luigi Bignami
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04/11/2018 - LE FASI LUNARI DI NOVEMBRE
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02/11/2018 - La “stella in scatola” che svela il mistero delle pulsar
La “stella in scatola” che svela il mistero delle pulsar
Sono le stelle più estreme del cosmo, oggetti in fortissima rotazione, super-densi, e dotati di un campo magnetico altissimo. Gli astronomi le chiamano pulsar, perchè la loro luce sembra pulsare, anche se ciò è dovuto al celebre “effetto faro” dovuto alla rotazione stellare. A più di cinquant’anni dalla scoperta, queste stelle restano ancora in gran parte misteriose per gli astronomi proprio per la loro natura così 'estrema'. Ma negli ultimi anni al centro spaziale Goddard della NASA, presso Washington, c'è chi ha pensato a mettere queste stelle in una 'scatola' per capire davvero la loro natura e il loro comportamento.
La scatola ovviamente è virtuale, e si riferisce a un nuovo metodo di simulazione al computer di queste stelle, che permette di tracciare la rotazione della stella e il cammino delle particelle emesse nello spazio, un compito che richiede calcoli molto lunghi e complessi. Per questo motivo, i ricercatori hanno sfruttato Pleyades e Discover, due supercomputer ospitati al Goddard e al centro NASA Ames in California, ottenendo una ricostruzione 3D senza precedenti del comportamento di una pulsar. I risultati della simulazione,pubblicati su The Astrophysical Journal, sono stati coordinati da Gabriele Brambilla, giovane ricercatore presso il NASA Goddard e l'Università di Milano. “Al momento ci manca una teoria comprensiva per spiegare le osservazioni che abbiamo delle stelle di neutroni” ha spiegato Brambilla ”Ciò ci insegna he non abbiamo ancora compreso completamente l’origine, l’accelerazione e le altre proprietà del plasma intorno alla pulsar”. Ma le simulazioni Particle in Cella (PIC), utilizzate da Brambilla e colleghi, mostrano in modo dettagliato il percorso delle particelle intorno alla stella di neutroni e costituiscono un nuovo importante passo per capire la natura di questi complessi e misteriosi 'fari' cosmici, veri e propri laboratori naturali per lo studio della fisica in condizioni impossibili da riprodurre nei laboratori a terra.
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01/11/2018 - Mai così prossimi al punto di non ritorno
Mai così prossimi al punto di non ritorno
Tra le sfide più ardite in astrofisica, c'è quella che mira a indagare l’ambiente vicino al buco nero supermassiccio posto al centro della Via Lattea. Spesso i buchi neri sono raffigurati come placidi vuoti, ma in realtà tali oggetti sono da considerare ambienti veramente estremi, sferzati da radiazioni di ogni tipo e sovente si mostrano come sorgenti ultra-luminose ad alta energia a causa della materia che vortica a velocità relativistiche in un disco di accrescimento, prima di cadere definitivamente nella voragine gravitazionale. Un buco nero è per definizione una singolarità, però c’è una regione grossomodo sferica che si pone nella zona di confine tra la materia ancora in grado di sfuggire alla gravità e quella destinata a cadere senza alcuna possibilità di ritorno poiché la velocità di fuga sarebbe superiore a quella della luce, che sappiamo essere insuperabile: si tratta dell’orizzonte degli eventi.
Uno degli strumenti più potenti per tentare l’impresa di riprendere l’orizzonte di Sagittarius A* è lo strumento GRAVITY dell’ESO operante nella configurazione VLTI, l’interferometro del Very Large Telescope in Cile. Lo strumento GRAVITY riunisce la luce delle unità del VLT per creare un super-telescopio virtuale con diametro di 130 metri.
Osservare SgrA*non è per nulla semplice perché tale sorgente compatta si trova a ben 26mila anni-luce, ma i risultati ora ottenuti sono senza precedenti e molto promettenti per il futuro. Nello specifico, con GRAVITY si son potuti osservare lampi di radiazione infrarossa, previsti dai modelli, provenienti dalla regione appena esterna all’orizzonte degli eventi, vale a dire dal suo disco di accrescimento. Le osservazioni confermano l’esistenza di tale struttura e, di conseguenza, anche quella del buco nero SgrA* da ben quattro milioni di masse solari. Ad oggi è la migliore osservazione in dettaglio della regione più prossima a esso, dove nonostante gli effetti relativistici, la radiazione elettromagnetica ha ancora facoltà di sfuggire alla morsa dell’enorme gravità, ma siamo veramente vicino al punto di non ritorno.
All'inizio dell'anno, GRAVITY e SINFONI (un altro strumento installato sul VLT) avevano permesso di misurare con precisione il passaggio al periastro della stella designata S2, la più vicina al centro galattico, mentre attraversava l’intenso campo gravitazionale vicino a Sagittarius A*, rivelando per la prima volta gli effetti previsti dalla Relatività generale di Einstein.
L’immagine a corredo è una simulazione che sfrutta le informazioni ricavate sui moti orbitali del gas in un'orbita circolare a circa il 30% della velocità della luce. In ogni caso siamo ancora abbastanza lontani dal riuscire a ottenere una visione diretta e risolta della sorgente corrispondente a SgrA*, o meglio del suo orizzonte degli eventi, che si stima avere dimensioni comparabili al nostro Sistema Solare. Si proverà a ottenere tale mirabile immagine collegando alcuni strumenti posti su tutto il pianeta che all'unisono andranno a comporre un telescopio sintetico grande quanto il nostro pianeta.
Immagine: Crediti: ESO/Gravity Consortium/L. Calçada
Giuseppe Donatiello
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30/10/2018 - La fine della Missione Kepler
La fine della Missione Kepler
Con un bottino di ben 2.681 esopianeti confermati, la Missione Kepler è stata una delle più produttive e rilevanti di sempre. Ne parliamo al passato perché, martedì 30 ottobre 2018, i responsabili della NASA hanno annunciato il definitivo decesso della sonda, già priva di carburante da mesi e con la possibilità di puntamento notevolmente compromessa da inizio ottobre, nonostante la strumentazione scientifica fosse ancora in buonissime condizioni dopo quasi dieci anni di operatività.
Grazie al Kepler Space Telescope abbiamo compreso meglio la nostra posizione nel cosmo poiché adesso abbiamo la certezza che i pianeti siano corpi celesti comunissimi nella Galassia e che il nostro Sistema Solare sia giusto uno tra i tanti tra quelli che ora conosciamo e non sembra avere nulla di speciale, tranne noi. Nonostante il gran numero di pianeti scoperti, infatti, Kepler non è riuscito a identificare alcun pianeta concretamente identico alla nostra Terra nelle Zone Abitabili delle stelle ospiti. La principale caratteristica del Kepler era proprio la capacità di distinguere minime variazioni nella luminosità di una qualsiasi stella tra le 140 mila presenti nel suo enorme campo di vista, pari a 115° quadrati a cavallo tra le costellazioni del Cigno e Lira, costantemente puntato dal suo specchio da 1,4m.
Lanciata nel maggio del 2009, nel 2013 la sonda è andata quasi persa a causa di guasti importanti ai sottosistemi di puntamento, ma gli ingegneri riuscirono a trovare una soluzione di comodo che permise di prolungare la vita operativa del telescopio puntando altre plaghe celesti. A tale recupero di missione fu assegnato il titolo di K2 e portò alla scoperta di altri 350 esopianeti. Kepler, dalla sua orbita eliocentrica, ha scrutato prevalentemente stelle lontane, spesso a migliaia di anni luce, mentre il suo successore, il telescopio Tess da poco lanciato sempre dalla NASA, si dedicherà prevalentemente all’osservazione in dettaglio di stelle vicine.
Dei circa 4000 pianeti a oggi confermati, i due terzi sono stati scovati da questa riuscitissima missione rientrante nel Programma Discovery.
Giuseppe Donatiello
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24/10/2018 - OSSIGENO NEI LAGHI DI MARTE A SOSTEGNO DELLA VITA
OSSIGENO NEI LAGHI DI MARTE A SOSTEGNO DELLA VITA
OSSIGENO NEI LAGHI DI MARTE A SOSTEGNO DELLA VITA
Nell’acqua salata nascosta nel sottosuolo di Marte c’è ossigeno sufficiente per ospitare la vita: l’acqua lo cattura dall’atmosfera, dove il gas è presente in tracce. L’ossigeno potrebbe essere presente anche nell’acqua ricca di minerali del lago scoperto dal radar italiano MARSIS della sonda europea Mars Express (vedi Nuovo Orione di novembre), a condizione che sia in grado di avere degli scambi con l’atmosfera.
I calcoli fatti dal gruppo di Vlada Stamenković al Caltech (California) indicano che l’ossigeno potrebbe sostenere la vita di microrganismi e di animali più complessi, come spugne.
“Non sappiamo se Marte abbia mai ospitato la vita”, scrivono i ricercatori, ma “i nostri risultati estendono la possibilità di cercarla”. Finora, infatti, forme di vita basate sull’ossigeno si ritenevano impossibili su Marte perché la sottile atmosfera del pianeta è poverissima di questo gas. Si pensava quindi che sul Pianeta Rosso potessero vivere solo microrganismi simili ai batteri della Terra tipici degli ambienti privi di ossigeno.
I nuovi calcoli indicano che l’acqua salata di Marte poco al di sotto della superficie può catturare l’ossigeno a condizione che periodicamente riesca a entrare in contatto con l’atmosfera attraverso fessure della crosta.
Nel tempo, le concentrazioni di ossigeno nell’acqua marziana potrebbero essere diventate tali da poter supportare microrganismi dal metabolismo basato sull’ossigeno. I ricercatori del Caltech hanno calcolato la quantità di ossigeno che potrebbe essere disciolto nell’acqua salata di Marte “considerando alcune delle principali variabili che controllano il processo di assorbimento del gas”, spiega il chimico organico Raffaele Saladino, dell’Università della Tuscia. Ciò indica “la possibilità che quantità sensibili di ossigeno possano accumularsi nelle acque salate, soprattutto in corrispondenza delle regioni polari, dove sussistono le condizioni ambientali più favorevoli”.
Secondo l’esperto, l’ossigeno presente nell’acqua “potrebbe, in principio, sostenere forme di vita primordiali” che respirano l’ossigeno, “ma dovrebbero essere estremofile, ovvero richiedere elevate concentrazioni saline e basse temperature per replicarsi” (Fonte: Media-INAF).
In Figura, le tracce radar (in colori codificati) riprese nella regione polare sud di Marte, che hanno permesso di individuare un lago sotterraneo largo circa 20 km (la regione triangolare blu al centro dell’immagine a destra).
Piero Stroppa
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24/10/2018 - ALMA MAPPA LA TEMPERATURA DI EUROPA
ALMA MAPPA LA TEMPERATURA DI EUROPA
Europa è una delle lune sotto la cui superficie ghiacciata sembra esserci un vasto oceano di acqua ed è uno dei siti più intriganti, in tutto il Sistema Solare, su cui andare a cercare forme di vita autoctona. Una prima vista dettagliata della superficie del satellite gioviano la fornì la sonda Galileo, restituendoci immagini impressionanti di un terreno fratturato in modo caotico che suggerivano un’attività tettonica ancora in corso per via della scarsa presenza di crateri, indice di continuo rinnovamento dei terreni. Se una sonda in orbita o in situ offre la possibilità di avere dati d’impagabile rilevanza, da qualche tempo la tecnologia ci permette di raccogliere dati rilevanti anche dal suolo terrestre. Tra gli strumenti più portentosi dobbiamo indubbiamente annoverare l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) con il quale è stata ottenuta una serie di quattro immagini rappresentative del gradiente termico della temperatura superficiale su questo mondo freddissimo.
Le immagini, di grande interesse e fascino, sono limitate alla risoluzione di circa 200 Km, comunque già sufficienti per distinguere differenze di temperatura in varie regioni da mettere in relazione con le formazioni geologiche note riprese a risoluzione enormemente maggiore dalle sonde. I ricercatori hanno così confrontato le osservazioni di ALMA con un modello termico basato sui dati della sonda Galileo. Da tale confronto si è potuta costruire la prima mappa globale delle caratteristiche termiche sulla superficie di Europa e non sono mancate le sorprese, come un enigmatico “punto freddo” nell'emisfero settentrionale.
Lo studio, pubblicato sull'Astronomical Journal con prima autrice la scienziata planetaria Samantha Trumbo del California Institute of Technology, specifica che i dati suggeriscano che sotto uno strato relativamente sottile di ghiaccio, Europa esibisca un oceano di acqua salata a contatto con un nucleo roccioso. La superficie ghiacciata ha età stimate tra 80 e 180 milioni di anni, con attività tettonica ed endogena ancora in atto.
Proprio nello studio della radianza alle onde millimetriche, ALMA fa la differenza con gli strumenti ottici e si pone come mezzo ideale per lo studio dei corpi freddi nel Sistema Solare, compresi i corpi minori. Che Europa sia effettivamente freddo per i nostri parametri lo denuncia la temperatura del suo punto più caldo che non supera mai i -160°C.
Samantha K. Trumbo et al. ALMA Thermal Observations of Europa, The Astronomical Journal (2018). http://iopscience.iop.org/article/10.3847/1538-3881/aada87/meta
Giuseppe Donatiello
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17/10/2018 - LA GALASSIA DONATIELLO I: È UFFICIALE!
LA GALASSIA DONATIELLO I: È UFFICIALE!
Con la diffusione sulla piattaforma arXiv.org dell’articolo accettato per la pubblicazione da Astronomy & Astrophysics, è sta stata suggellata ufficialmente della galassia nana sferoidale Donatiello I (Figura). In luglio, dalle pagine di Nuovo Orione e alle quali rimandiamo per tutti i dettagli, avevamo anticipato alcuni contenuti e raccontato le circostanze che hanno portato alla scoperta dell’oggetto in una delle zone più studiate di tutto il cielo, vale a dire la regione intorno alla Galassia di Andromeda.
Il nuovo aggiunto è stato trovato analizzando un mosaico d’immagini che l’astrofilo Giuseppe Donatiello aveva composto nel 2016. L’immagine era stata sottoposta a uno specifico trattamento che mirava alla registrazione di deboli strutture presenti nella zona, nonché a mostrare, come macchie tondeggianti, i principali galassie nane satelliti di M31. In essa, tra le varie, ne fu notata una tondeggiante a circa 1° dalla stella Mirach (Beta And), simile a quella prodotta da un satellite galattico, ma non associabile ad alcun oggetto noto.
La ricerca in immagini d’archivio portò all’identificazione di una debolissima ed estesa sorgente alle coordinate trovate nella rassegna SDSS DR9, confermando che non si trattasse di un artefatto. Fu quindi richiesta un’immagine di conferma al Telescopio Nazionale Galileo (TNG) che fu ottenuta dall’astronomo Walter Boschin, confermando la natura extragalattica della sorgente che appariva, nel 3,58 m, già risolta in deboli stelle, indice di relativa vicinanza.
Inizialmente si pensò che l’oggetto fosse un satellite di Andromeda, ma successive analisi dei dati, eseguite dal team di specialisti guidati da David Martínez-Delgado dell’Università di Heidelberg, includendo anche nuovi dati ottenuti al Gran Telescopio Canarias, hanno fatto propendere per una distanza di circa 3,3 Mpc, quindi appena fuori il Gruppo Locale. Tuttavia, per la particolare posizione in cielo e per la distanza stimata, si pensa che la nana formi una coppia con NGC 404, la più vicina nana lenticolare posta alla medesima distanza. In un tale scenario, Donatiello I disterebbe circa 65 mila anni luce dal “Fantasma di Mirach”, per questa ragione si è pensato di soprannominarla “Goblin di Mirach” per sottolinearne le similitudini.
Classificata come galassia nana, Do I si estende per 1440 anni luce e si mostra con una brillanza integrata apparente di 18,5 magnitudini. La sua popolazione è costituita prevalentemente da alcuni miliardi di stelle vecchie e non è stata rilevata la presenza di gas neutro o ionizzato, che altrimenti sarebbe stato indice di formazione stellare in corso.
Stimare la distanza di Donatiello I non è un compito facile, a causa dell’interferenza prodotta dalle stelle dell’alone esteso di Andromeda. Sebbene l’ipotesi che formi una coppia con NGC 404 sia considerata più che probabile, c’è anche la possibilità che Do I possa essere più vicina, intorno ai 2,5 Mpc, e rientrare tra le rarissime nane sferoidali isolate considerate di estremo interesse in astrofisica.
Ricordiamo che questa scoperta giunge a 50 anni dalle due galassie Maffei, finora le uniche dal 1968 a essere designate con un nome italiano in quella ristretta cerchia di oggetti con nome proprio e, tra tutti, Donatiello sembra essere il primo astrofilo ad avere tale privilegio.
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15/10/2018 - NUOVO ORIONE E LE STELLE INSIEME ALLA UAI ALLA FIERA DELL'ASTRONOMIA A BOLOGNA
NUOVO ORIONE E LE STELLE INSIEME ALLA UAI ALLA FIERA DELL'ASTRONOMIA A BOLOGNA
La Fiera Nazionale dell’Astronomia, che si svolgerà a Bologna Fiere il 24 e 25 novembre prossimi sarà ospitata dalla tappa bolognese di Expo Elettronica.
Il progetto si realizza in collaborazione con ADAA (Associaizone per la divulgazione astronomica e astronautica), con lo scopo di offrire un punto d’incontro e confronto a livello nazionale al mondo degli astrofili, con una programmazione di conferenze scientifiche e mostre tematiche, alla presenza di operatori dell’industria di settore e dei maggiori organi di stampa.
Nuovo Orione e Le Stelle si presenteranno in Fiera insieme all'Unione Astrofili Italiani in un unico stand.
Expo Elettronica mette in mostra una vastissima offerta di prodotti di elettronica, informatica, accessori per telefonia, hardware e software, ricezione satellitare, hobbistica, accessori e componentistica. Oltre al collezionismo di settore, con il Fotomercato e la mostra mercato di dischi e cd da collezione.
L'Expo si svolge in concomitanza con Il Mondo Creativo e Model Game e ospita una tappa delle Olimpiadi Robotiche, appuntamento didattico e divulgativo rivolto agli Istituti Superiori della Provincia di Bologna.
Tutti i particolari sul sito www.expoelettronica.it/eventi/expo-elettronica-bologna-24-novembre-2018
Piero Stroppa
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07/10/2018 - NUOVA FIERA DELL’ASTRONOMIA A BOLOGNA 24 E 25 NOVEMBRE 2018
NUOVA FIERA DELL’ASTRONOMIA A BOLOGNA 24 E 25 NOVEMBRE 2018
ADAA (Associazione per la Divulgazione Astronomica ed Astronautica) è nata nel 2016, e in soli due anni di intensa attività ha già organizzato numerosi ed interessanti eventi su tutto il territorio nazionale. Il nuovo traguardo che ADAA si propone – reso possibile grazie alla partnership con Blu Nautilus S.r.l. – è quello di far ripartire la Fiera Nazionale dell’Astronomia (che fino a qualche anno fa si svolgeva a Forlì) con lo scopo di offrire nuovamente al mondo degli astrofili un importate momento di incontro e di confronto a livello nazionale, che proponga anche una programmazione di conferenze scientifiche e mostre tematiche a cura non solo di esperti, ma anche dei partecipanti stessi.
L’evento vedrà impegnati personaggi di spicco per proporre interessanti conferenze, ma non mancheranno iniziative da parte delle numerose associazioni di astrofili presenti da tutto il Paese che si dedicano con passione a divulgare la conoscenza della ‘volta celeste’.
Importante la presenza delle maggiori aziende del settore astronomico, ci sarà la possibilità di valutare i nuovi strumenti, gli accessori e acquistare direttamente in Fiera.
L’appuntamento con la NUOVA Fiera Nazionale dell’Astronomia Amatoriale è dunque fissato per i giorni di Sabato 24 e Domenica 25 Novembre 2018 presso la Fiera di Bologna, Piazza della Costituzione – 40128 Bologna.
Per informazioni, vedi il sito www.adaa.it/
Piero Stroppa
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07/10/2018 - VOYAGER 2 È PROSSIMA A PASSARE L’ELIOPAUSA
VOYAGER 2 È PROSSIMA A PASSARE L’ELIOPAUSA
Secondo gli esperti della NASA, è solo questione di pochi mesi e poi anche Voyager 2, dopo la gemella Voyager 1 nel 2013, varcherà la soglia dell’eliosfera, la bolla di particelle cariche emesse dal Sole, per entrare nell’ambiente interstellare.
Lanciata nel 1977 come la gemella, Voyager 2 è stata l’unica sonda a esplorare tutti i pianeti giganti gassosi in un memorabile Grand Tour, completatosi con il sorvolo del sistema di Nettuno nell’agosto 1989, e consegnando alla storia alcune delle immagini più emozionanti di sempre.
Attualmente la sonda si trova a circa 17,7 miliardi di km (118 Unità Astronomiche) e gli strumenti hanno iniziato a registrare un rilevante aumento dei raggi cosmici, in maniera analoga a quanto rilevato da Voyager 1 nel maggio del 2012, circa tre mesi prima dell’accesso nell’eliopausa, la regione in cui l’influenza del campo magnetico solare lascia il posto a quello della Galassia.
L’aumento del tasso di raggi cosmici è stato interpretato come il segnale che sia in corso l’indebolimento del campo magnetico di origine solare che aveva parzialmente schermato la sonda, rallentando le radiazioni cosmiche, nei suoi 41 anni di viaggio. Ora i controllori di Voyager 2 si aspettano un progressivo aumento dei conteggi.
L’eliopausa non è sferica, ma avrebbe una forma allungata, con una lunga scia sfumata in direzione opposta al moto solare. È considerata per convenzione già spazio interstellare, ma i confini fisici del Sistema Solare si estendono ben oltre, poiché vi orbita una moltitudine di corpi legati ancora alla gravità della nostra stella, ovvero gli asteroidi appartenenti alla zona interna della Nube di Oort, che si stima arrivare sino a circa 2 anni luce dal Sole.
Sarà molto interessante monitorare le variazioni dei flussi di particelle, per stabilire con precisione la struttura della zona esterna dell’eliosfera e verificare quanto la sua estensione dipenda dal ciclo del Sole, infatti ci si aspetta che si espanda quando l’attività sia massima. Ma sarà una corsa contro il tempo, perché la disponibilità di energia da parte della sonda è in fase di esaurimento.
Giuseppe Donatiello