Astronews a cura di Massimiliano Razzano

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• 04/12/2008 - L’Europa prepara la sua navetta spaziale: test nel 2012

  L’Europa prepara la sua navetta spaziale: test nel 2012

  

  I ministri della ricerca di 18 Paesi europei hanno varato il progetto di un mini-shuttle. Il primo lancio avverrà nel 2012, proprio quando le navette americani andranno definitivamente in pensione.

  Si tratta di un impegno imponente: 10 miliardi di euro in tre anni. E infatti non c’è stato posto per altro. Questo del mini-shuttle è l’unico nuovo progetto spaziale che sia stato deciso dall’Unione Europea, gli altri stanziamenti riguardano esclusivamente il proseguimento di programmi già in corso.

  Il lancio dovrebbe avvenire con il nuovo razzo europeo Vega (nel disegno), tuttora in fase di sviluppo. Si incomincia con uno stanziamento immediato di 78 milioni di euro, capoprogetto per l’Agenzia spaziale europea (Esa) è l’italiano Giorgio Tumino, la sigla della navetta IXV, da Intermediate eXperimental Vehicle.

  L’aspetto è più quello di una capsula schiacciata che di un velivolo. E infatti IXV scenderà appeso a un paracadute, come da sempre fanno gli astronauti russi nelle loro Soyuz. Il mini-shuttle sarà lungo 4,40 metri, 5 metri con gli ugelli del motore e misurerà 2,24 metri di larghezza per 1,54 di altezza.

  Si farà tesoro dell’esperienza degli ultimi vent’anni: non solo quella dello Shuttle ma anche dell’X-38 della Nasa, poi abbandonato, della capsula Ard e del modulo “Jules Verne”. Lo scudo termico sarà in piastrelle di carburo di silicio con fibre di carbonio, una evoluzione rispetto alle problematiche piastrelle della navetta americana, ma sono in fase studio anche altri materiali.

  Il lancio prevede che IXV, installato sulla cima del razzo Vega, parta da una apposita rampa della base spaziale di Kourou, nelle Guyane francese. Il test del 2012 consisterà in una mezza orbita intorno alla Terra alla quota di 450 chilometri seguita dalla discesa nell’oceano Pacifico alla velocità di 7,5 chilometri al secondo. L’impegno economico dell’Italia sarà di 1,2 miliardi sull’intero progetto. Lo ha annunciato Enrico Saggese, commissario straordinario all’Agenzia spaziale italiana dopo la destituzione di Giovanni Bignami avvenuta nel luglio scorso.

  Il direttore generale dell’ESA Jean Jacques Dordain ha espresso la propria soddisfazione sottolineando come l’ESA esca più forte da questa riunione dei suoi ministri della ricerca. L’Italia, con l’ASI, ha deciso un insieme di finanziamenti, tra programmi obbligatori e facoltativi, pari a circa 1.2 miliardi di euro in tre anni, oltre il 60% del budget triennale dell’Agenzia.
  Il contributo italiano è stato fondamentale per l’avvio del programma Exomars. L’ASI ha infatti deciso di contribuire con altri 31 milioni di euro al programma, che vanno ad aggiungersi ai 250 milioni già stanziati. Gli ultimi due stanziamenti sono stati decisi all’ultimo momento per sopperire al ritiro del contributo da parte spagnola e raggiungere la soglia critica di 850 milioni di euro perché il programma potesse partire.

  L’Italia ora si candida con forza ad ospitare il Centro di Controllo del Rover (ROC). Tra i temi più delicati, il finanziamento delle attività legate alla Stazione Spaziale Internazionale. “Con quanto si è deciso - ha dichiarato Saggese - abbiamo coperto tutti i costi della ISS per i prossimi cinque anni, dall’ATV 2 fino all’ATV5”. L’80% del finanziamento andrà ad ATV e il 20% allo sfruttamento scientifico della ISS con Columbus”.
  L’intervento del Commissario Enrico Saggese è disponibile in audio sul sito dell’Agenzia spaziale italiana

  www.asi.it

• 01/12/2008 - Stelle sovrappeso: spiati i loro segreti

  Stelle sovrappeso: spiati i loro segreti

  

  Non è facile stabilire quale sia la massa minima e massima delle stelle ma certo è più facile rispondere riguardo alla massa minima: pare che al di sotto dell’otto per cento della massa solare molto difficilmente possano innescarsi le reazioni di fusione termonucleare. Più incerto è il limite superiore: si parla di iper-stelle con massa fino a 150 volte quella del nostro Sole, Eta Carinae potrebbe esserne il prototipo. Due tra le stelle più massicce della nostra galassia sono state di recente “pesate” con una buona precisione, e nel caso della più colossale la massa si aggira intorno a 50 Soli. La ricerca è stata condotta il telescopio spaziale “Hubble” e il contributo dell’Osservatorio australe europeo.

  Le due stelle (nella foto un ampio campo della regione nebulare della carena) sono ovviamente delle caldissime giganti azzurre e si trovano a 7500 anni luce da noi nell’ammasso aperto Trumpler 16, a sua volta immerso nella Nebulosa della Carena: siamo quindi vicini a Eta, in una regione di colossi stelari.

  La più interessante è la stella WR 25, la più brillante e massiccia. Due anni fa Roberto Gamen aveva scoperto che si tratta di una stella doppia. Ora sappiamo che la principale componente della coppia ha una massa pari a oltre 50 volte quella del Sole, mentre la secondaria è all’incirca la metà (25 masse solari) e compie la sua orbita intorno al baricentro comune in 208 giorni. E’ facile immaginare quale grandioso spettacolo queste due stelle potrebbero offrire a un osservatore posto su un loro remoto pianeta. Ma l’ipotesi è senza fondamento: stelle così massicce vivono pochi milioni di anni, un lampo rispetto ai tempi richiesti dall’evoluzione biologica. Inoltre, trattandosi di stelle del tipo di Wolf-Rayet, lanciano nello spazio intorno a sé micidiali quantità di vento solare ad altissima energia.

• 01/12/2008 - Marte in primo piano: 13 metri di risoluzione

  Marte in primo piano: 13 metri di risoluzione

  

  L’Agenzia spaziale europea (ESA) ha diffuso oggi 28 novembre stupende immagini stereo di Marte con una risoluzione di tredici metri per pixel riprese dalla sua navicella spaziale in orbita intorno al pianeta rosso “Mars Express”. La qualità è eccezionale e molto interessanti sono i particolari della geologia marziana che le foto rivelano.

  Siamo nella regione dell’Eumenides Dorsum (foto), 2 gradi di latitudine sud e 206 gradi est. L’area coperta è di 12 mila chilometri qudrati, circa la metà della Sicilia o del Piemonte.

  Benché la pressione atmosferica su Marte sia appena di 5-8 millibar, cioè lo 0,75% della pressione terrestre al suolo, e pari a quella che esiste sul nostro pianeta a quota 35 mila metri, sono evidenti i segni di erosione del suolo dovuti al vento e ad altri fenomeni metorologici su rocce che sono evidentemente di natura sedimentaria. Dune e piccoli canali caratterizzano il terreno in questa regione di Marte, oltre a tracce di antica attività vulcanica.

  Qualche giorno fa, il 21 novembre, l’ESA ha invece diffuso la prima documentazione mai ottenuta di una aurora polare marziana, generata dall’interazione del vento solare con la tenue atmosfera del pianeta e con il suolo. Le immagini sono state ottenute nell’ultravioletto e riguardano una piccola regione dove esiste un debole campo magnetico residuale. Sappiamo infatti che Marte non ha un campo magnetico come quello terrestre, e proprio per questo, e per la sottigliezza della sua atmosfera, non possiede uno scudo contro i raggi cosmici e le radiazioni ionizzanti provenienti dallo spazio. Un grave problema per una eventuale spedizione con equipaggio umano.

  Per altre informazioni sulla geologia di Eumenides Dorsum:

  http://www.esa.int/SPECIALS/Mars_Express/SEMRS2AWYNF_2.html

• 27/11/2008 - Battezzati altri 15 crateri di Mercurio

  Battezzati altri 15 crateri di Mercurio

  

  Si arricchiscono l’atlante e la toponomastica di Mercurio a mano a mano che la navicella della Nasa “Messenger” ci rivela i particolari della sua superficie già nota e per la prima volta ci mostra regioni fino a ieri sconosciute. Dopo un primo gruppo di 12 crateri (vedi notizie precedenti) battezzati nel 2008, altri 15 crateri del pianeta più vicino al Sole da oggi hanno un nome.

  Secondo una tradizione inaugurata nel lontano 1919, li ha ufficialmente battezzati la International Astronomical Union, su indicazione dell’apposita Commissione. Il criterio adottato in questo caso è quello di rendere onore a celebri artisti, scrittori e musicisti scomparsi. Sean Solomon, Principal Investigator del programma della Nasa “Messenger” ha espresso il suo compiacimento per le scelte fatte.

  Ecco i nuovi toponimi mercuriani, che riguardano crateri identificati nel primo flyby del 2008:

  • Amaral, da Tarsila do Amaral, uno dei principali artisti moderni del Brasile.
  • Dalí, da Salvador Dalí, pittore surrealista spagnolo che non ha bisogno di commenti.
  • Enwonwu, dallo scultore e pittore Benedict Chukwukadibia Enwonwu, il più apprezzato artista nigeriano del secolo scorso.
  • Glinka, da Mikhail Glinka, compositore russo considerato un “padre” della musica autoctona
  • Hovnatanian, da Hakop Hovnatanian, celebre pittore ritrattista americano
  • Beckett, da Clarice Beckett, celebre artista australiana
  • Moody, da Ronald Moody, scultore giamaicano, e pittore poi attivo a Parigi e Londra nel XX secolo.
  • Munch, da Edvard Munch, pittore simbolista norvegese
  • Navoi, da Alisher Navoi, poeta uzbeco del 15° secolo, un fondatore della letteratura turca
  • Nawahi, da Joseph Nawahi, artista autodidatta, giurista, educatore e uomo politico delle isole Hawaii.
  • Oskison, da John Milton Oskison, uno scrittore cherokee, già opinionista del giornale New York Evening Post.
  • Poe, da Edgar Allan Poe, celeberrimo poeta e narratore americano specializzato nel genere horror .
  • Qi Baishi, da Qi Baishi, apprezzato pittore e acquerellista cinese .
  • Raden Saleh, da Raden Saleh, pittore naturalista originario di Giava (Indonesia), attivo nell’Ottocento.
  • Sher-Gil, da Amrita Sher-Gil, la più importante pittrice nell’India del XX secolo.

  Una immagine dove compaiono i crateri appena battezzati si trova all’indirizzo:

  http://messenger.jhuapl.edu/gallery/sciencePhotos/image.php?gallery_id=2&image_id=276

  http://messenger.jhuapl.edu

• 27/11/2008 - Un pianeta intorno a Beta Pictoris

  Un pianeta intorno a Beta Pictoris

  

  Intorno a Beta Pictoris, una giovanissima stella a 70 anni luce da noi, orbita un pianeta gigante simile a Giove per massa e dimensioni, immerso in un disco protoplanetario di polveri e gas (foto). Lo ha scoperto un gruppo di ricerca dell’ESO, l’Osservatorio australe europeo, che ha i suoi telescopi sulle Ande del Cile.

  Il pianeta dista dalla sua stella circa otto unità astronomiche, cioè otto volte la distanza che separa la Terra dal Sole, più o meno quanto Saturno.

  Lo strumento usato è uno dei quattro telescopi da 8,2 metri del VLT, Very Large Telescope, sul monte Paranal. L’ottica adattiva che compensa la turbolenza atmosferica in tempo reale e un rivelatore infrarosso molto sensibile hanno permesso di catturarne l’immagine ad un gruppo di astronomi francesi.

  Beta Pictoris divenne famosa nella prima metà degli Anni 80 del secolo scorso quando “Iras”, il primo satellite per l’osservazione del cielo nella radiazione infrarossa, scoprì che intorno a questa stella c’è un disco di polveri. Fu la prima dimostrazione che i sistemi planetari come il nostro non sono un’eccezione, ma anzi, probabilmente, la regola. Beta Pictoris è una stella molto giovane, con una età di appena 12 milioni di anni: i suoi pianeti quindi sono ancora in fase di aggregazione e sono molto caldi. Il pianeta è stato scoperto nell’alone di polveri che circonda la stella. La certezza dell’identificazione non è ancora assoluta: le prossime osservazioni, dice Gael Chavin, stabiliranno in modo definitivo se si tratta realmente di un pianeta o di un artefatto, un disturbo nella ricezione del segnale luminoso.

• 25/11/2008 - Toccata la Luna, la navicella indiana è al lavoro

  Toccata la Luna, la navicella indiana è al lavoro

  

  L’India, almeno simbolicamente, ha conquistato la Luna: il satellite “Chandrayaan-1” ha sganciato sul polo sud del nostro satellite una sonda che si è schiantata nel cratere Shackleton in una regione dove non sorge mai il Sole. L’impatto è avvenuto il 14 novembre intorno alle 16 ora italiana 25 minuti dopo il rilascio. Tre strumenti hanno lavorato mentre il proiettile calava sul suolo della Luna da un’altezza di 100 chilometri: una telecamera che ha ripreso immagini ad alta risoluzione fino a pochi istanti prima dell’impatto (foto), un radar altimetro e uno spettrometro di massa che ha rilevato la composizione della esilissima atmosfera lunare. L’analisi dei dati dirà se l’impatto ha liberato tracce di acqua che antiche comete potrebbero aver depositato in quel luogo sotto forma di ghiaccio e permafrost.

  Altri strumenti a bordo del satellite stanno hanno seguito l’impatto rilevando dati e ora, esaurito il loro compito connesso all’impatto, stanno entrando in misura per svolgere la seconda e più lunga parte del programma di ricerca progettato dell’Agenzia spaziale dell’India. Tra questi, la camera per mappare la superficie del satellite, il misuratore di radiazioni TMC, lo spettrometro a infrarossi fornito dall’Agenzia spaziale europea, lo spettrometro per raggi X. Rimane da mettere in funzione lo strumento SARA, Sub-keV Atom Reflecting Analyser, che sarà pronto ad entrare in servizio tra il 7 e il 10 dicembre: occorre infatti ancora un po’ di tempo per innalzare gradualmente il voltaggio dei suoi apparati. Lanciata il 22 ottobre, finora “Chandrayaan-1” ha pienamente raggiunto i suoi obiettivi.

• 24/11/2008 - IL DNA svela il volto di Copernico

  IL DNA svela il volto di Copernico

  

  L’analisi del DNA ha permesso di identificare i resti di Copernico e partendo dal suo cranio la polizia scientifica è riuscita a ricavarne un identikit che riproduce fedelmente il volto dell’astronomo polacco che spodestò la Terra dal centro dell’universo rilanciando il sistema eliocentrico già ipotizzato da Aristraco di samo nell’antica Grecia.

  I resti di Nicolò Copernico riposavano sotto il pavimento della cattedrale di Frombork, un villaggio oggi di 4000 abitanti, in Polonia, località dove Copernico visse per buona parte della sua esistenza e dove morì il 24 maggio del 1543. Ma poiché sin trovavano in mezzo alle ossa di un altro centinaio di monaci, trovarle era evidentemente un’impresa quasi disperata. Ci è riuscito però tre anni fa l’archeologo Jerzy Gassowski.

  Si sapeva che il corpo di Copernico probabilmente si trovava sotto il pavimento vicino all’altare. Un radar usato per prospezioni geologiche, insieme con uno scanner e un software molto raffinato hanno suggerito la posizione in cui scavare. In effetti i resti trovati nel punto indicato dal radar potevano essere attribuiti Copernico: erano infatti le ossa di un uomo di circa settant’anni e il cranio aveva traccia di una ferita da taglio al sopracciglio sinistro e una frattura del setto nasale, due “segni caratteristici” dell’astronomo.

  Mancava tuttavia la prova decisiva. Questa è venuta grazie a due capelli trovati in un libro che appartenne a Copernico, il “Calendarium Romanum Magnum”, uno dei 500 volumi della sua biblioteca ora conservato all’Università di Uppsala, dove era finito come bottino di guerra dell’esercito della Svezia al tempo delle sue lotte con la Polonia.

  Il DNA dei capelli è infatti risultato del tutto compatibile con il DNA delle ossa del cranio. A questo punto la ricostruzione del volto è stata un normale lavoro di routine della polizia scientifica. In effetti il viso che ne è venuto fuori corrisponde bene ai ritratti dell’astronomo (foto).

  Copernico morì poche ore dopo aver visto la prima copia del suo libro “De revolutionibus orbium coelestium”, un testo che avrebbe cambiato il corso dell’astronomia. Di esso si conservano, sparse nel mondo, circa 600 esemplari delle prime due edizioni. L’astronomo americano Owen Gingerich le ha esaminate e studiate tutte, ricavandone un saggio di piacevolissima lettura: “Alla ricerca del libro perduto”, edito da Rizzoli nel 2004.

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• 21/11/2008 - Scoperto il segreto della galassia super-feconda

  Scoperto il segreto della galassia super-feconda

  

  C’è una galassia mille volte più piccola della nostra Via Lattea ma dove le nuove stelle nascono con un ritmo da cento a mille volte più alto. E’ NGC 1569, e su di essa si sono concentrate le attenzioni di un gruppo di ricerca internazionale a partecipazione italiana. Il risultato è molto interessante e originale: l’altissima natalità stellare della galassia NGC 1569 sembra dipendere da potenti maree gravitazionali esercitate su di essa da galassie vicine, fino ad ora passate inosservate perché si sottovalutava la distanza di NGC 1569. Le perturbazioni causano frequentissime e forti anomalie nella materia interstellare della galassia, innescando i collassi che portano alla nascita di nuove stelle.

  L’aspetto di NGC 1569, come si vede dalla foto, è peculiare: risulta evidente come essa sia “incinta” di moltissimi e giganteschi ammassi di giovani stelle neonate, cioè luminosissime giganti azzurre.

  L’annuncio della scoperta compare sull’ultima edizione di “Astrophysical Journal Letters”. La ricerca è nata dalla tesi di dottorato di Alessandra Aloisi, giovane ricercatrice dell’Inaf e dell’Università di Bologna, affiancata da Monica Tosi. Che NGC 1569 sia molto più lontana di quanto prima si stimasse si è ricavato in modo quasi casuale da uno studio che riguardava le sue stelle giganti rosse, utilizzate di solito per valutare lo stadio evolutivo che la galassia sta attraversando.

• 19/11/2008 - Prevista e verificata la caduta di un asteroide sulla Terra

  Prevista e verificata la caduta di un asteroide sulla Terra

  

  L’umanità è in grado di avvistare un asteroide in rotta di collisione con la Terra, di prevederne l’ora e il luogo di caduta e di verificare con l’osservazione diretta l’esattezza della previsione. Per la prima volta questa intera sequenza di eventi si è realizzata tra il 6 e il 7 ottobre e ora l’insieme dei dati permette agli astronomi e alla Protezione civile di tutti gli stati del pianeta di sentirsi più sicuri rispetto alle minacce che ci arrivano dallo spazio.

  Un minuscolo asteroide, battezzato con la sigla 2008 TC3, è stato scoperto il 6 ottobre scorso dagli astronomi che si servono per le loro ricerche sui NEO (Near Earth Objects) di un telescopio da 60 centimetri collocato sul monte Lemmon in Arizona (foto) con il quale si svolge il programma della Nasa “Catalina Sky Survey.” Il pianetino aveva un diametro di circa cinque metri. Paul Chodas, ricercatore del Jet Propulsion Laboratory, calcolò immediatamente che in base ai suoi dati orbitali l’asteroide sarebbe precipitato sulla Terra alle 2 e 45 minuti e 28 secondi (Tempo Universale) del 7 ottobre con una incertezza di 15 secondi in più o in meno sull’Africa centro meridionale ad una quota di 14 chilometri.

  Il calcolo si è rivelato esatto: il corpo asteroidale si è disintegrato alle 2,45 e 47 secondi a 12 chilometri di altezza nel cielo del Sudan.

  Particolarmente interessante è il fatto che si è ottenuta una duplice documentazione visiva. Il satellite Meteosat-8 con la sua camera predisposta per rilevare i fenomeni a rapida evoluzione ha potuto fotografare il flash dell’esplosione dell’asteroide nella stratosfera e i piloti di un aereo della KLM in volo a 1400 km a sudovest dall’impatto hanno visto un rapido fenomeno luminoso esattamente all’ora e nella direzione previste. Il flash ha raggiunto la magnitudine 13.

  L’asteroide 2008 TC3 è penetrato negli strati più densi dell’atmosfera alla velocità di 12,8 chilometri al secondo. Oggetti di queste dimensioni precipitano sulla Terra abbastanza frequentemente e si presentano come bolidi luminosi quanto la Luna piena: succede in media forse 5-10 volte all’anno ma nella maggior parte dei casi il fenomeno avviene sopra regioni disabitate o sugli oceani, per cui sfugge all’osservazione.

  Si è calcolato che 2008 TC3 esplodendo ha liberato l’energia di una piccola bomba nucleare dalla potenza compresa tra 1,1 e 2,1 kiloton di tritolo.

• 17/11/2008 - Prima assoluta: ecco un pianeta della stella Fomalhaut

  Prima assoluta: ecco un pianeta della stella Fomalhaut

  

  Per la prima volta possiamo vedere l'immagine nitida del pianeta di un'altra stella. E' una notizia di quelle che segnano una svolta nella storia dell'astronomia e compare sull'ultimo numero della rivista settimanale "Nature", uscito il 14 novembre. Non solo: del pianeta extrasolare (o esopianeta), si è riusciti a seguire l'orbita intorno alla sua stella fotografandolo due volte a distanza di tempo (vedi foto). Dobbiamo al telescopio spaziale "Hubble" (collaborazione Nasa ed Esa) questa immagine eccezionale.

  Il pianeta in questione ha una massa che - al massimo - è il triplo di quella di Giove, cioè mille volte quella della Terra, ma potrebbe essere anche assai meno massiccio, e orbita intorno a Fomalhaut, la principale stella della costellazione Piscis Austrinus, a 25 anni luce da noi. Si trova immerso in un anello di polveri che sta generando un sistema planetario simile al nostro. L'esistenza di questo anello era nota. La rivelò già Iras, il primo satellite per l'osservazione del cielo nell'infrarosso, all'inizio degli Anni 80 del secolo scorso.

  Nel 2004 il coronografo della camera ad alta risoluzione di "Hubble" riuscì a fornire una immagine in luce visibile dell'anello di polveri: si estende per 35 miliardi di chilometri intorno alla stella, un diametro pari a circa 10 volte l'orbita di Nettuno.

  Facendo un parallelo con il nostro Sistema solare, possiamo dire di trovarci nella Fascia di Kuiper, una zona al di là di Nettuno nella quale circolano milioni di corpi ghiacciati destinati a trasformarsi in comete. Tre anni fa l'astronomo dell'Università della California Paul Kalas avanzò l'ipotesi che un pianeta potesse perturbare gravitazionalmente i detriti (planetesimi) dell'anello di Fomalhaut.

  Il telescopio spaziale "Hubble" ha confermato l'ipotesi fotografando un puntino luminoso nella parte più interna dell'anello che avvolge la stella più luminosa del Piscis Austrinus.

  Confrontando le immagini del 2004 con quelle riprese 21 mesi dopo, si nota perfettamente lo spostamento del pianeta lungo la sua orbita. Fomalhaut b (questo il nome del pianeta) si trova a 17 miliardi di chilometri dalla sua stella, il che equivale a circa dieci volte la distanza di Saturno dal Sole.

  L'immagine mostra senza ombra di dubbio che i planetesimi intorno al pianeta sono perturbati dalla gravità del massiccio pianeta. Lo spostamento rilevato tra le due immagini permette di calcolare che esso completa un'orbita in 872 anni.

  Fomalhaut è una stella di prima magnitudine, giovane (ha 200 milioni di anni), di classe spettrale A (bianco-azzurra), con una temperatura superficiale di 8300 °C. E' una gigante dalla massa più che doppia rispetto al Sole, e 16 volte più luminosa.

  Si evolverà quindi rapidamente e non potrà permettere lo sviluppo della vita sui suoi pianeti per mancanza di tempo: la comparsa dei più semplici organismi richiede almeno un miliardo di anni, che è appunto la "speranza di vista" di Fomalhaut.

  Il moto apparente di Fomalhaut è di 0,425 secondi d'arco all'anno, cioè abbastanza rilevante; eppure corrisponde un euro visto dalla distanza di 12 chilometri. La radiazione emessa dal pianeta cade prevalentemente nell'infrarosso in quanto è tuttora in formazione e e la sua superficie è quindi molto calda.