Astronews a cura di Massimiliano Razzano
Fino al 13/11/2017 a cura di Piero Bianucci, fino al 20/01/2018 a cura di Luigi Bignami
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15/02/2019 - MOLECOLE ORGANICHE COMPLESSE DALLA LINEA DELLA NEVE
MOLECOLE ORGANICHE COMPLESSE DALLA LINEA DELLA NEVE
Un gruppo di astronomi guidato da Jeong-Eun Lee (Kyung Hee University, Corea), che lavora con ALMA (Atacama Large Millimeter / submillimeter Array) ha rilevato varie molecole organiche complesse - tra cui metanolo, acetone, acetaldeide, metil formiato e acetonitrile - attorno alla giovane stella V883 nella costellazione di Orione.
Queste molecole sono normalmente congelate nel ghiaccio del disco protoplanetario, la cui composizione è simile a quella delle comete del nostro Sistema Solare. Ma un’improvvisa attività esplosiva di V883 sta riscaldando il disco e sublimando il ghiaccio, che rilascia le molecole in forma gassosa.
La regione in un disco in cui la temperatura raggiunge la temperatura di sublimazione delle molecole è chiamata 'linea della neve' (snow line). I raggi di queste linee sono di poche Unità Astronomiche attorno alle giovani stelle normali, ma possono ingrandirsi di dieci volte durante le attività esplosive tipiche delle giovani stelle.
La presenza di molecole organiche complesse potrebbe essere strettamente correlata all'origine della vita sui pianeti. V883 Ori è situata a 1300 anni luce dalla Terra e sta vivendo una fase esplosiva, un evento dalla durata di circa 100 anni e per questo motivo abbastanza raro da osservare. Stiamo osservando qualcosa di simile a quanto avvenuto intorno al Sole 4,5 miliardi di anni fa, quando materiale organico come questo, piovuto sulla Terra grazie ad asteroidi e comete potrebbe aver favorito la nascita della vita.
In Figura, una rappresentazione artistica del disco protoplanetario di V883 Ori. La parte esterna del disco è fredda e le particelle di polvere sono coperte di ghiaccio. All’interno della “linea della neve” si liberano le molecole organiche complesse che sono state rilevate da ALMA.
Piero Stroppa
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15/02/2019 - Un vicino fiume di stelle
Un vicino fiume di stelle
Astronomy & Astrophysics riporta lo studio svolto da ricercatori dell'Università di Vienna, in cui si annuncia il rinvenimento di un fiume di stelle, un flusso stellare nel linguaggio tecnico, che copre la maggior parte del cielo meridionale. Osservando attentamente la distribuzione delle stelle vicine con moto proprio simile, un particolare gruppo, finora sconosciuto, ha immediatamente catturato l'attenzione dei ricercatori poiché mostrava esattamente le caratteristiche attese per quelle nate insieme come ammasso, ma separate dal campo gravitazionale della Galassia. Tale flusso è relativamente vicino e dovrebbe contenere almeno 4000 stelle che si muovono all’unisono nello spazio dal momento della loro formazione, avvenuta circa un miliardo di anni fa. Questo dato è stato estrapolato studiando un campione di 200 stelle sino al limite strumentale del satellite astrometrico Gaia. Grazie alla sua vicinanza, tale flusso è un perfetto banco di prova su cui testare la distruzione degli ammassi e conoscere le popolazioni di pianeti extrasolari coevi da indagare con le future missioni di ricerca. Inoltre, grazie all’altissima precisione dei dati, gli autori hanno potuto ricostruire il movimento 3D di tale gruppo di stelle rispetto alle altre nel disco.
La nostra Via Lattea è sede di ammassi stellari di dimensioni ed età variabili. Troviamo molti ammassi giovanissimi all'interno delle nubi molecolari, meno ammassi di età media e vecchia nel disco galattico, e ancora meno massicci ammassi globulari nell'alone. Questi ammassi, indipendentemente dalla loro origine ed età, sono tutti soggetti alle forze di marea lungo le loro orbite intorno alla Galassia che, dopo un certo tempo, disgregano il gruppo stellare per disperderlo nell’alone.
'La maggior parte degli ammassi stellari nel disco Galattico si disperde rapidamente dopo la loro nascita giacché non contengono abbastanza stelle da creare un potenziale gravitazionale profondo, o in altre parole, non hanno abbastanza colla per tenerli insieme.” - Dice Stefan Meingast, autore principale dell’articolo - “Anche nell’immediato vicinato solare, ci sono tuttavia alcuni gruppi con una massa stellare sufficiente a rimanere legati per diverse centinaia di milioni di anni. Quindi, in linea di principio, tali resti di grandi dimensioni simili a flussi di ammassi o associazioni dovrebbero anche far parte del disco della Via Lattea”.
Questo sistema vicino può essere quindi usato come una validissima sonda di gravità per misurare la massa della Galassia che è tutt’altro che certa. Con il lavoro di follow-up, invece, si potrà meglio comprendere come le galassie si accrescano di stelle. Gli autori sperano di svelare ancora più strutture del genere in futuro con l'aiuto del ricco database Gaia.
Giuseppe Donatiello
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10/02/2019 - BOLLE DI STELLE NUOVE FIAMMANTI
BOLLE DI STELLE NUOVE FIAMMANTI
Questa nebulosa luccicante di stelle in formazione (Figura) è stata ripresa dallo strumento MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer), installato sul Very Large Telescope dell’ESO in Cile.
La nebulosa, nota come N180B, è una regione HII della Grande Nube di Magellano (LMC), galassia satellite della Via Lattea visibile solo dall’emisfero australe. La LMC Possiede solo un braccio a spirale, che però appare quasi di fronte, permettendoci di ispezionare facilmente nebulose come N180B.
Le regioni HII sono nubi interstellari di idrogeno ionizzato in cui sono immerse numerose stelle massicce appena formate, responsabili della ionizzazione del gas circostante, che produce effetti spettacolari. La forma distintiva di N180B è costituita da una gigantesca bolla di idrogeno ionizzato, circondata da quattro bolle più piccole.
All’interno di questa nube luminescente, MUSE ha individuato un getto emesso da una grande stella nascente, che possiede massa pari a 12 volte quella solare. È la prima volta che si osserva un getto di questo tipo in luce visibile al di fuori della Via Lattea. E con una lunghezza di circa 33 anni luce, è uno dei getti di questo genere più lunghi mai osservati. Il fascio è altamente collimato : nell’allontanarsi dalla stella, si allarga appena. Getti come questo sono associati ai dischi di accrescimento della stella e possono far luce su come le stelle nascenti raccolgono materia.
MUSE è stato migliorato con l’aggiunta dell’Adaptive Optics Facility (AOF), un sistema di “ottica adattiva”, attraverso il quale i telescopi dell’ESO compensano gli effetti di sfocatura causati dall’atmosfera, trasformando le stelle scintillanti in immagini molto nitide ad alta risoluzione.
Inaugurato nel 2017 nella modalità a campo largo, il sistema AOF è stato recentemente dotato anche modalità a campo stretto, facendo guadagnare a MUSE una vista acuta quasi come quella del telescopio spaziale Hubble, con la possibilità di esplorare l’Universo in modo più dettagliato che mai (Fonte: Media-INAF).
Piero Stroppa
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10/02/2019 - TITANO MESSO A NUDO DALLA SONDA CASSINI
TITANO MESSO A NUDO DALLA SONDA CASSINI
Osservare con strumenti ottici Titano, la luna più grande del sistema di Saturno, non dà risultati soddisfacenti: la spessa atmosfera nasconde la superficie della luna, mostrandoci una palla giallastra uniforme, priva di dettagli.
Grazie alla missione Cassini-Huygens e al suo strumento infrarosso VIMS (Visual and Infrared Mapping Spectrometer), abbiamo potuto gettare uno sguardo attraverso l’atmosfera che avvolge uno degli oggetti più interessanti e misteriosi del Sistema Solare, le cui dimensioni superano quelle del pianeta Mercurio.
La sonda Cassini ha studiato per oltre un decennio, fino a settembre 2017, i diversi fenomeni che caratterizzano Saturno, i suoi anelli e i suoi satelliti naturali. Titano è stato osservato in lungo e in largo, durante 127 sorvoli della sonda, ma solo grazie a VIMS è stato possibile completare i dati raccolti sull’atmosfera dal lander Huygens durante la sua discesa sulla superficie.
In questo mosaico pubblicato recentemente (Figura), vediamo le numerose caratteristiche catturate dal VIMS che rendono così speciale questo satellite. La mappe sono state create combinando i dati delle osservazioni fatte con condizioni di luce di volta in volta diverse nel corso della missione. Questa sequenza di immagini ci regala la migliore rappresentazione oggi disponibile della superficie di Titano.
I colori (codificati) rivelano le varietà dei materiali presenti sulla superficie della luna. Si possono riconoscere le distese di dune equatoriali grazie a un uniforme color marrone, mentre i colori bluastri e viola indicano materiali arricchiti da depositi di ghiaccio d’acqua. Nelle zone polari (non riportate in queste immagini) si vedono i contorni dei mari di etano e metano liquidi rivelati dalle immagini radar di un altro strumento della sonda Cassini (fonte: Media-INAF).
Piero Stroppa
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05/02/2019 - Una super-terra e un pianeta con densità eccezionale
Una super-terra e un pianeta con densità eccezionale
A un quarto di secolo delle prime scoperte, oggi conosciamo circa 4000 esopianeti con le caratteristiche più disparate. I più interessanti sono quelli orbitanti nelle zone abitabili su cui si spera di trovare evidenze spettroscopiche che ne denuncino la presenza di forme di vita, ma sono interessanti anche altri corpi celesti con caratteri talvolta bizzarri. In particolare, in alcuni casi, è l’interazione con la stella ospite a rendere notevoli questi mondi, oppure l’interazione con altri elementi di un sistema.
Se i primi due casi sono stati già largamente documentati in precedenti scoperte, mancavano sinora le prove riconducibili alla collisione tra corpi di un sistema extrasolare. Due recenti scoperte fanno riferimento a tali fenomenologie e hanno visto protagonisti gli strumenti installati sull’isola di La Palma (Canarie), tra cui il nostro Telescopio Nazionale Galileo (TNG) e il Gran Telescopio Canarias (GTC).
Ed è così che un team di ricercatori dell'Università di Oviedo e l'Instituto de Astrofísica de Canarias (IAC) ha scoperto e caratterizzato una super-terra in orbita lungo il confine interno della zona abitabile della stella nana rossa K2-286. La stella si trova nella costellazione della Bilancia a 244 anni luce, ha un raggio 0,62 volte quello solare e una temperatura di 3650°C.
Il team ha analizzato dapprima i dati concernenti i transiti ottenuti dalla missione estesa K2 del telescopio spaziale Kepler, ottenendone di nuovi dal suolo con gli strumenti HARPS-N del TNG e OSIRIS presso il GTC, stabilendo che il nuovo pianeta presenta un raggio di 2,1 volte quello terrestre, un periodo orbitale di 27,36 giorni e una temperatura di equilibrio di 60°C. Tali parametri sono compatibili con la presenza di acqua liquida in superficie, un requisito necessario per lo sviluppo della vita come lo conosciamo.
Se una nuova super-terra è da considerarsi una notizia abbastanza ordinaria, di assoluta novità è invece la scoperta nel sistema di Kepler 107, una stella leggermente più grande del Sole. Si tratta di quattro pianeti, ma sono i due più interni ad aver attratto l’attenzione degli specialisti. Anche in questo caso, utilizzando i dati di Kepler e del TNG, un team ha determinato i parametri della stella e ha misurato i raggi e le masse dei pianeti. Sebbene i due più interni abbiano raggi simili, le loro masse sono risultate molto diverse, con uno tre volte più denso dell’altro.
La densità del pianeta Kepler 107c è più del doppio di quella terrestre ed è questo parametro ad aver incuriosito i ricercatori e suggerisce la presenza di un grande nucleo metallico. È stata avanzata l'ipotesi che Kepler 107c si sia formato come il risultato di un grande impatto che deve aver strappato via i suoi strati esterni, lasciando così il nucleo centrale metallico (Figura).
“Abbiamo bisogno di conoscere la stella per capire meglio i pianeti che sono in orbita attorno ad essa', dice Savita Mathur, ricercatrice presso l'IAC di Tenerife, e uno degli autori dello studio. 'Abbiamo compiuto un'analisi sismica per stimare i parametri della stella che ospita il pianeta. L'astrosismologia gioca un ruolo chiave nel campo degli esopianeti, perché è stato dimostrato che è uno dei metodi migliori per una precisa caratterizzazione delle stelle'. L’astrosismologia è diventata uno dei metodi più importanti per caratterizzare le stelle, e lo sarà di più grazie alle missioni spaziali TESS (NASA) e PLATO (ESA).
Giuseppe Donatiello
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02/02/2019 - LE MOLECOLE DI GLICOLONITRILE NELLO SPAZIO
LE MOLECOLE DI GLICOLONITRILE NELLO SPAZIO
Shaoshan Zeng, dottoranda presso la Queen Mary University di Londra, insieme a un gruppo di ricercatori, ha individuato per la prima volta l’esistenza di molecole prebiotiche di glicolonitrile (HOCH2CN) nello spazio, nel materiale che circonda la stella in formazione IRAS 16293-2422 B, distante circa 450 anni luce.
La scoperta, importante per lo studio delle molecole di DNA e RNA nello spazio, è stata realizzata grazie ai dati raccolti dalle antenne di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimetre Array) in Cile. Tra gli autori, vi sono Víctor M. Rivilla, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Arcetri e Leonardo Testi, astronomo dell’ESO e associato INAF.Tra le numerose teorie che ritengono il RNA primordiale alla base della vita come la conosciamo, la molecola di glicolonitrile è riconosciuta come un precursore chiave nei processi che portano alla formazione delle basi azotate, come l’adenina (una delle componenti fondamentali delle catene di RNA e DNA). Un team di ricercatori guidato da Rivilla ha scoperto di recente anche un altro precursore di questo nucleotide, la cianometanimina, all’interno di una nube molecolare nella nostra Galassia.
“La nostra scoperta è un nuovo passo avanti nella ricerca della vita nello spazio”, afferma Rivilla. La protostella in prossimità della quale è stato individuato il glicolonitrile si trova nella regione denominata Rho Ophiuchi (Figura, APOD), ricca di giovani stelle circondate da un bozzolo di polvere e gas nelle prime fasi della loro evoluzione, condizioni simili a quelle in cui si formò il Sistema Solare.Rilevare le molecole prebiotiche nelle protostelle di tipo solare aiuta i ricercatori a comprendere meglio la formazione del nostro sistema planetario e in generale i processi che possono innescare l’insorgenza di forme elementari di vita nello spazio (Fonte: Media-INAF).
Piero Stroppa
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30/01/2019 - UN QUASAR DA RECORD AI CONFINI DELL’UNIVERSO
UN QUASAR DA RECORD AI CONFINI DELL’UNIVERSO
Si trova a una distanza di circa 12,8 miliardi di anni luce ed è il quasar più luminoso mai scoperto finora: la radiazione che emette J043947.08+163415.7 è circa 600 mila miliardi di volte quella del Sole. La scoperta è di un gruppo di astrofisici coordinato da Xiaohui Fan, dell'Università dell'Arizona, di cui fa parte l'italiano Fabio Pacucci, dell'Università di Yale ed ex-consigliere dell'Unione Astrofili Italiani.
Per scovare questo oggetto lontano nello spazio e nel tempo, gli studiosi hanno sfruttato l'effetto di “lente gravitazionale” da parte di una galassia posta lunga la linea di osservazione (Figura). “Questo effetto - ha spiegato Pacucci - previsto dalla Relatività Generale di Einstein, permette di osservare sorgenti molto lontane nell'Universo ed è in gran parte responsabile della luminosità apparente del quasar”, ha aggiunto.
Il quasar era finora sfuggito all'osservazione proprio per la presenza della galassia “lente”, che ne aveva mascherato la presenza. Per scovarlo, è stato necessario impiegare diversi telescopi, sia terrestri, come i Keck alle Hawaii, che spaziali come Hubble.
“I quasar sono oggetti cosmici molto luminosi, per via della materia che precipita dentro un buco nero con una massa di milioni o miliardi di volte quella del Sole” – continua Pacucci - “La radiazione che sprigionano questi buchi neri è così intensa da rendere trascurabile l'emissione della galassia circostante. Per questo, i quasar appaiono come sorgenti puntiformi, come se fossero stelle. Lo studio apre alla possibilità che esista una popolazione di quasar fantasma, al momento invisibile. Se così fosse, potrebbe permettere di rivedere le teorie che descrivono il primo miliardo di anni di storia dell'Universo”.
Antonio Lo Campo
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28/01/2019 - UN EMBRIONE DI MONDO ALIENO
UN EMBRIONE DI MONDO ALIENO
Un embrione di mondo alieno sta nascendo nel disco di gas e polveri di una giovane stella a circa 382 anni luce dalla Terra: a catturarne i primi vagiti è stato un gruppo di astronomi italiani guidato da Raffaele Gratton, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
Con una massa compresa tra 1 e 4 volte quella di Giove, il nuovo pianeta, che si andrà ad aggiungere ai circa 4000 esopianeti già scovati dagli astronomi, è stato osservato grazie allo strumento SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument), un cacciatore di pianeti montato su uno dei telescopi cileni del Very Large Telescope (VLT) dell'Osservatorio Europeo Meridionale (ESO).
Nell'incubatore cosmico, rappresentato dalla giovane stella HD 16914, i ricercatori hanno osservato un sistema di tre anelli (Figura) e, all'interno di una delle cavità tra il secondo e il terzo, strani bracci a spirale e nubi di polvere che si sta addensando. “Segni compatibili con la presenza di un pianeta nascente” - affermano. I pianeti si formano nei dischi di gas e polveri, durante lo stesso evento che porta alla formazione di una stella. Come avvenuto anche al Sistema Solare, circa 5 miliardi di anni fa.
Per i ricercatori, “ci si aspetta che i pianeti giovani causino cavità e spirali nei dischi. Però, i pianeti più giovani sono circondati da nubi di polvere che ne rendono difficile l'osservazione diretta e quindi la conferma della loro presenza. Per questo motivo, esistono pochissime osservazioni chiare di pianeti in una simile fase evolutiva, in dischi ancora ricchi di gas”.
Lo studio del pianeta nascente potrà fornire preziose indicazioni sulle fasi iniziali che hanno portato alla formazione del Sistema Solare. Maggiori dettagli su queste culle di nuovi mondi potranno arrivare nei prossimi anni dal gigantesco telescopio ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, che dovrebbe iniziare a operare nel 2024, in Cile.
Per Roxanne Ligi, dell'Osservatorio Astronomico INAF di Brera, “sarà molto interessante osservare questi sistemi con ELT, che avrà cinque volte la risoluzione di VLT. Con il nuovo telescopio, sarà possibile studiare in dettaglio come i pianeti accrescono il materiale dal disco primordiale, una fase cruciale nella formazione dei pianeti giganti”.
Antonio Lo Campo
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28/01/2019 - IN RICORDO DI GIANCARLO SETTE
IN RICORDO DI GIANCARLO SETTE
Lo scorso 8 gennaio è scomparso all’età di 91 anni Giancarlo Sette (Figura), uno dei “grandi astrofili” italiani, che aveva fondato nel 1969 l’Osservatorio di S. Vittore a Bologna insieme a Giorgio Sassi e Ciro Vacchi.
Conobbi Sette alla fine degli Anni 70, quando andai in visita a S. Vittore, da allora mantenemmo sempre i contatti; nel tempo divenne un sincero amico, che mi insegnò molto sulla ripresa planetaria e il trattamento delle pellicole, di cui era un maestro. Era un uomo semplice, disponibile e prodigo di consigli frutto della sua notevole esperienza.
L’Osservatorio di S. Vittore divenne famoso per le immagini planetarie, riprese con un Newton da 45 cm, dotato di varie focali Cassegrain, di cui una da 47 m. S. Vittore collaborò con il Lowell Observatory al programma Patrol, insieme con altri cinque Osservatori professionali sparsi per il mondo, dotati di telescopi superiori al metro. Il programma consisteva nel monitorare sistematicamente per via fotografica le variazioni su Marte, Giove e Saturno. Sette passò migliaia di notti a prendere foto planetarie, usando pellicole da cinepresa fornite dal Lowell; alla fine di ogni sessione, le pellicole venivano spedite negli USA.
Verso la fine degli Anni 70, iniziò la ricerca di pianetini. Furono costruiti un blink e misuratori di lastra di grande precisione e iniziò un nuovo programma di osservazione. Dal 1980 al 2004 furono scoperti 101 nuovi pianetini e ne furono ritrovati altri 85.
Dal ‘90 Giancarlo Sette partecipò alla nascita del nuovo Osservatorio “Tito Lucrezio Caro”, dotato di una camera Schmidt 300-400-800, posto sulle colline di Castel S. Pietro (BO), di proprietà dell’amico di vecchia data Stefano Orlandi. Da questo Osservatorio, su una proposta di Sette, partì l’idea di riprendere per la prima volta una cometa in tricromia in simultanea con tre camere Schmidt.
Sette mi chiese la disponibilità per questo tentativo, essendo io in possesso di una Schmidt 200-250-500. Con Michele Michelusi presso il nostro Osservatorio di Zané (VI), riuscimmo a fare le riprese: noi nel Rosso, Sette e Orlandi nel Verde e nel Blu con altre due Schmidt. Ne risultò un ottimo lavoro e questa fu una delle ultime imprese cui partecipò Sette.
Ci sentivamo periodicamente e lui era sempre prodigo di consigli. L’ultima volta ci siamo sentiti prima di Natale, quando era già malato, ma sempre cordiale e disponibile.
Ci lascia un amico, un astrofilo unico di cui si sentirà la mancanza. Ciao Giancarlo.
Giancarlo Rizzato
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27/01/2019 - LA GRANDE NUBE DI MAGELLANO PRONTA ALL’IMPATTO
LA GRANDE NUBE DI MAGELLANO PRONTA ALL’IMPATTO
Una ricerca condotta da astrofisici della Durham University (Regno Unito) prevede che la Grande Nube di Magellano (LMC) – visibile solo dall’emisfero australe - potrebbe colpire la Via Lattea tra circa 2 miliardi di anni. Questa collisione si verificherà molto prima dell’impatto più violento tra la Via Lattea e la Galassia di Andromeda, previsto tra 8 miliardi di anni (una stima molto aumentata rispetto alle previsioni di qualche anno fa).
L’unione con la LMC potrebbe “svegliare” il buco nero al centro della nostra Galassia, che comincerebbe a divorare il gas circostante e ad aumentare le sue dimensioni fino a dieci volte, diventando un Nucleo Galattico Attivo. Alimentandosi, il buco nero emetterebbe radiazioni ad alta energia che però difficilmente influenzeranno la vita sulla Terra (se ci sarà ancora…). La collisione potrebbe anche catapultare il Sistema Solare nello spazio intergalattico, al di fuori della Via Lattea.
Le galassie come la Via Lattea sono circondate da piccole galassie satelliti che orbitano intorno ad esse per miliardi di anni, finché affondano verso il centro, si scontrano e vengono divorate dalla loro galassia ospite.La LMC (Figura, realizzata dal telescopio spaziale Spitzer) è la più luminosa galassia satellite della Via Lattea, entrata a far parte del nostro vicinato circa 1,5 miliardi di anni fa e attualmente situata a una distanza di 163 mila anni luce. Recenti misurazioni indicano che la LMC ha quasi il doppio della materia oscura di quanto si pensasse in precedenza e questo dato la pone in rotta di collisione con la nostra Galassia, come ha verificato il team di ricercatori, utilizzando la simulazione EAGLE (Evolution and Assembly of GaLaxies and their Environments) al super computer DiRAC-2 della Durham University.
La ricercatrice Alis Deason ha dichiarato che la nostra Galassia è stata finora interessata da poche fusioni, con galassie di massa molto piccola; pertanto, c’è da aspettarsi una collisione con un satellite come la LMC, un episodio tutto sommato “normale”, come quello che possiamo osservare in diretta tra M51 e il suo satellite. E le avvisaglie di quello che si verificherà si possono già trovare nella “Corrente Magellanica”, il ponte di idrogeno che collega la Via Lattea con la LMC, creato dalle forze mareali in atto tra la nostra Galassia e il suo satellite (fonte: Media-INAF).
Piero Stroppa