Le vostre domande

• Domanda fatta da: Antonietti Ignazio, [email protected], 12/07/2018

  
  

  Su un articolo pubblicato nel numero 300 del maggio 2017 a cura di Giuseppe Donatiello si legge testualmente:con le camere ColdMOS la calibrazione con dark e bias e' una operazione del tutto trascurabile, e lo e' altrettanto anche per chiunque utilizzi dispositivi basati su sensori CMOS come le diffuse DSRL. Altri astrofotografi,che hanno all'attivo libri e tutorial vari sostengono l'assoluta necessita di eseguire una calibrazione per dark frame. Vorrei se possibile avere dei chiarimenti.Grazie e Saluti

  risponde Giuseppe Donatiello

  Mi pare che la questione sia stata già affrontata e discussa in precedenti occasioni. Tuttavia mi permetta una considerazione preventiva: la scienza non avanza per opinioni personali e nemmeno per credo diffuso, bensì lo fa attraverso la verifica sperimentale indipendente delle prove. In altre parole, se autori di libri e tutorial sostengano una certa cosa, non significa che quanto da essi asserito sia corretto e frutto di esperienze verificate da terzi in modo indipendente. Posso nutrire fiducia verso quanto dichiari qualcuno (me compreso) in base alla sua reputazione, ma essere autori di un libro (autoprodotto) o di un tutorial (pubblicato su una piattaforma social) non ci rende automaticamente degli esperti, così come non possiamo considerare tali pubblicazioni come referenze citabili. Potrei portare decine di esempi di perfetti principianti che, in pochi giorni di pratica, ritengono di aver eguagliato l’esperienza di militanti da decine di anni e riportano la loro esperienza, spesso basata su luoghi comuni appresi qua e là. Altrettanto, nei gruppi di discussione i contenuti non sono affidabili e, quando vado a curiosare, m’imbatto spesso in un sacco di cose campate in aria, addirittura illogiche o basate su argomenti non più validi. Mi risparmi l’elenco di tali “trovate”. In definitiva, preferisco riferirmi a valida e verificata letteratura professionale, reperibile su autorevoli pubblicazioni di fotonica con referee, anziché affidarmi a quanto riportato altrove.

  Venendo a quanto scritto sul n.300 di Nuovo Orione in merito alla prova della ColdMOS QHYCCD 183C, confermo quanto riportato. Tale asserzione è certamente frutto di un’esperienza personale e verificata più volte, ma è soprattutto riferita a quanto riportato in importanti articoli scientifici, con prove documentarie e con discussione formale matematica. Comprenderà che una trattazione formale qui richiederebbe molto più spazio e - aggiungiamo pure - di non facile comprensione, quindi ne propongo solo una descrizione, sperando sia definitivamente chiara.

  Va specificato che quando parliamo di “trascurabile” non intendiamo dire che non serva, ma semplicemente che gli effetti di tali procedure non ne sortiranno di talmente rilevanti da portare a concreti benefici e, perciò, possono essere tralasciati se non sussistono specifiche esigenze. Perché? Perché nei dispositivi di nuova generazione, le fonti di disturbo sul segnale oltre che prevedibili sono anche di modestissima entità, specialmente se con il raffreddamento attivo (TEC) portiamo tali disturbi a livelli veramente minimi. La calibrazione è una di quelle operazioni fondamentali quando si operi in ambito scientifico, cioè quando le immagini serviranno per lo studio di un oggetto celeste, quando la differenza di decimi di magnitudine può falsare notevolmente una stima di distanza o altro. Per un’immagine “estetica” (per usare un termine molto in voga) che non abbia cioè altra finalità se non quella di proporre l’aspetto di un oggetto celeste, spesso interpretato in forma molto personale, a cosa concretamente può servire spendersi con una laboriosa procedura di calibrazione? Se vogliamo giusto un’immagine meno “rumorosa” (ammesso che di rumore veramente si tratti), possiamo adottare altri modi per conseguire un migliore rapporto segnale/rumore (SNR). Il più ovvio di tali metodi è di ricorrere allo stack di un certo numero d’immagini. Se tali singole immagini sono già buone, con lo stack otterremo un’immagine finale veramente di ottima qualità (si pensi alle riprese planetarie). Il problema è che spesso si scambiano per “rumore” fenomeni non legati al disturbo termico e non eliminabili sottraendo il dark frame. Quanti hanno mai sentito parlare di Shot Noise? Per quanto buono sarà il sensore, tale fenomeno sarà sempre presente e si può prenderne coscienza fotografando un cielo azzurro: l’immagine sarà sempre sgranata eppure di luce ce n’è! Per quanto incredibile possa sembrare, quel disturbo non è insito nel sensore ma è dovuto addirittura alla natura corpuscolare/ondulatoria della luce! Tale fenomeno si manifesta, ad esempio, anche nella fotografia lunare ottenuta con singolo scatto. Chi ignora la cosa, inizierà a pensare che la propria fotocamera sia rumorosa (introduca rumore di vario tipo), la cambierà e scoprirà che lo stesso fenomeno si ripresenta, su qualche forum qualcuno consiglierà di prendere il dark e di sottrarlo, un altro suggerirà di usare quel tale filtro inventato da un suo amico, eccetera. Tuttavia il risultato sarà sempre molto deludente e magari bastava eseguire lo stack (media) di qualche fotogramma per portare la sgranatura quasi a zero.

  Conoscendo i difetti stabili di un dispositivo (pixel caldi, morti, banding) possiamo facilmente rimuoverli con un buon flat frame ottenuto mediando un certo numero di scatti, così come otterremo un’immagine più “pulita” mediando molti scatti, meglio se spostando un poco il campo inquadrato dopo alcuni scatti. La cosa si può dimostrare anche matematicamente. Fotografando un soggetto con un numero N di esposizioni uguali in tutti i parametri e supponendo che il rumore sia esclusivamente di tipo casuale con valore medio pari a zero, sommando le N esposizioni, il segnale cresce linearmente così come il rapporto SNR aumenta di un fattore pari alla radice quadrata di N rispetto a una singola immagine.

  In teoria possiamo aumentare il rapporto segnale rumore a piacere, mediando un grandissimo numero di scatti, ma nella pratica, dopo una certa quantità, non riscontreremo alcun miglioramento concreto. Altrettanto, mediando un certo numero di dark frame otterremo giusto un’immagine di tonalità scura che sarà solo tale e non, invece, rappresentativa del rumore termico contenuto nella somma delle pose per quanto esposto prima. A rigore, il dark frame va sottratto a ogni singola immagine e non a gruppi, e deve essere eseguito nelle identiche condizioni di esposizione e temperatura dell’immagine da calibrare. Essendo inoltre il frutto di segnali amplificati casualmente per la natura intrinseca dei sensori CMOS o, peggio, ottenuta dalla media di frame ai quali la stessa fotocamera abbia già sottratto il disturbo, scattando una seconda immagine (appunto, il dark frame) con otturatore chiuso (per le esposizioni lunghe è, infatti, possibile attivare la funzione di riduzione del rumore termico, chiamata Long Exposure NR da Nikon e Long Exposure noise reduction da Canon), alla fine scopriremo di aver sottratto non rumore ma informazione!

  Il controllo del rumore non è soltanto una questione legata all’astrofotografia, ma abbraccia tutto lo scibile dell’imaging. Si possono consultare approfonditi articoli scientifici sulla piattaforma arXiv.org e tutti riferiscono che il rumore si sommi in modo quadratico, quindi ne consegue che sia sempre additivo. A prescindere dal tipo di sensore, sottraendo un’immagine a un'altra, aumenta il rumore piuttosto che diminuire e ciò accade anche quando sottraiamo il dark frame: paradossale! Ne consegue che sottrarre un segnale frutto di una misura intrinsecamente imprecisa per la natura stessa dei sensori CMOS, non farà altro che danneggiare quella che s’intenda migliorare, nel nostro caso un’immagine. Una discussione approfondita richiederebbe molto più spazio, ma sull’argomento ci ritorneremo alla luce dei recenti dispositivi.

  Se vuole troverà esempi pratici di quanto discusso in varie immagini nel mio album su Flickr, come nell’esempio che propongo nel link ottenuto proprio nel modo descritto sopra e senza sottrarre alcun dark.

  https://www.flickr.com/photos/133259498@N05/41716257742/

• Domanda fatta da: Piero Felice Milanese, [email protected], 13/07/2018

  
  

  Gentile signor Manzini Da moltissimi anni mi interesso e fotografo il profondo cielo, più per passione uranografica, e non per ottenere belle immagini da mandare alle riviste. Non ho purtroppo né la voglia e tantomeno la pazienza di approntare lunghe pose, seguite da sofisticate elaborazioni. Mi ha colpito un'immagine di M27 pubblicata sull'ultimo numero di Nuovo Orione a pag.73, e la lettura di tutto il necessario usato per ottenerla. Le mando la stessa foto, ripresa al fuoco diretto di un rifrattore da 10 cm (un vecchio Vixen FL102 fine anni '80), un unico scatto di 60 secondi di posa, con un CCD Atik 16hrc, nessuna guida e una grossolana elaborazione finale con Astroart e Gimp 2.8. Montatura Ioptron ZEQ25. Personalmente penso che pubblicare belle foto con sottostanti descrizioni di sofisticati dispositivi possa scoraggiare i giovani e i neofiti che si avvicinano a questo bellissimo hobby. A mio avviso si possono ottenere discrete immagini anche con attrezzature molto più modeste, e senza sedute penitenziali alla consolle dei propri strumenti. Mi sarebbe gradito un suo parere, visto che la seguo da tantissimi anni quando ancora curava le pagine di “Profondo cielo” su “Astronomia”. Con sincera stima Piero Milanese Se la possono interessare, ho anche altre foto di oggetti deep-sky ripresi con tempi brevissimi, uniche pose, nessuna guida e elaborazioni garibaldine.

  risponde Federico Manzini
  

  Buongiorno Milanese,

  la sua lettera è una 'storia' di vita vissuta. Ricordo quando ancora fotografavo Giove con la pellicola: se si registravano le bande equatoriali e qualche altro dettaglio era un successo strepitoso. Pero, prima le famose webcam Toucam Philips, poi le camere planetarie, hanno completamente sovvertito il modo di fare ripresa delle superfici planetarie: oggi si osservano particolari addirittura più piccoli della risoluzione teorica per lo strumento in uso.

  Insomma, l'evoluzione tecnica nel nostro campo comporta decisi miglioramenti. Alcuni autori però, seguendo la moda della società odierna, sono portati a sbandierare la loro produzione e a dichiarare nel commento tutta la strumentazione che possiedono e le procedure software che hanno adottato. Serve? non serve? Non saprei risponderle.

  Sono convinto però che ci debba essere spazio per tutti, soprattutto per chi come lei vuole godere dei propri risultati in modo personale, senza farne battage pubblicitario. Per i giovani non tema, hanno anticorpi sufficienti per distinguere cosa è meglio; ne conosco parecchi, quasi tutti conoscono i loro limiti e, grazie alla loro freschezza mentale, riescono a produrre dei risultati superiori alla media anche con pochi mezzi.

  A presto, cieli sereni

  Federico Manzini

  PS mi invii il suo materiale che mi piacerebbe trarne un articolo: [email protected]

   

   

• Domanda fatta da: Augusto Galliano, [email protected], 07/07/2018

  
  

  Per le riprese col filtro Ir pass andrebbe bene una ZWO ASI a colori (es. ASI224MCC) , oppure solo le mono sono efficaci in tal senso?

  risponde Giuseppe Donatiello

  A prescindere dalla specifica telecamera, un po’ tutte sono abbastanza sensibili al Vicino Infrarosso (NIR) sia esse a colori che monocromatiche. Circa il loro utilizzo, molto dipende dalle scelte costruttive dei progettisti, quindi alcune soluzioni possono non essere adatte alla registrazione di tale regione spettrale. In linea di principio, una camera per infrarosso non deve avere un filtro Taglia-IR anteposto al sensore, meglio se privo di finestra ottica. Anche se con sensore a colori, nei limiti di sensibilità, è possibile registrazione la radiazione infrarossa con tonalità cromatiche non vere perché prodotte da una risposta errata da parte dell’elettronica. Di solito tali tonalità si mostrano con una forte dominante rosso/violacea, a mio parere anche gradevole, comunque facilmente convertibile in tonalità di grigio. Più in generale, sono da preferire i sensori monocromatici per riprese in NIR, specialmente per la maggiore sensibilità esibita in una regione spettrale dove molti sensori CMOS manifestano un appariscente calo in QE. Fortunatamente per la maggior parte dei corpi del Sistema Solare, escludendo giusto Urano e Nettuno, di luce infrarossa nella loro albedo ne abbiamo a sufficienza anche per un sensore a colori, come quello della ZWO ASI224MC.

  Tale camera planetaria è dotata di un sensore Sony IMX224 da 1/3' 1,2MP basato sulla tecnologia Exmor e NIR. Il sensore, ormai piuttosto piccolo ma di ottima qualità, è protetto da una finestra ottica a larga banda e, come dichiara il costruttore, con elevata trasparenza in NIR. Pur essendo una camera per uso prevalente nel planetario, entro certi limiti può essere impiegata pure in riprese di cielo profondo. Il sensore a colori esula dall’uso dei filtri, ma sono comunque da suggerire anche i canonici IR-Cut per avere un bilanciamento migliore. Ovviamente per l’uso in NIR dovrà anteporre un filtro IR-Pass o, meglio, uno interferenziale su specifiche lunghezze d’onda entro la gamma di sensibilità.

  In definitiva, l’ASI224MC lavora tranquillamente anche in NIR. 

• Domanda fatta da: Flavio Zanoni, [email protected], 17/06/2018

  
  

  Il giorno 9-6-2018 ora locale 00-15 uscendo da casa mia località Negrar in direzione est verso la costellazione della lyra per una estensione approssimativa di 20 gradi nord-sud e 5 gradi est-owest abbiamo visto una serie di punti luminosi stimati circa 50 di un colore simile alle stelle che si muovevano molto lentamente e indipendentemente gli uni dagli altri formando nel cielo una figura sinousale . Ho provato a osservare con un binocolo Nikon 8 x 25 waterproof non riuscendo però a distinguere la differenza dalle stelle vicine .Il fenomeno da quando lo visto è durato circa tre minuti , lentamente poi i punti luminosi andavano a spegnersi indipendentemente gli uni da gli altri . Ora lasciando stare UFO e compagnia bella possono esistere effetti luminosi prodotti con laser o globi di luce lanciati da aerei Piper ? Ci sono state altre segnalazioni ? Voi che ne pensate ?

  risponde Walter Ferreri

   

  Penso che quanto osservato potrebbe essere spiegato dalle cosiddette “lampade cinesi”, cioè mini-mongolfiere o palloncini che grazie ad una fiammella sottostante producono l’aria calda sufficiente a farle volare in alto e dove si spostano in base ai venti in quota. Dopo un po’ la fiamma si esaurisce con la conseguente ricaduta. Se si guarda di notte, si vede la luce che semplicemente si affievolisce e scompare. Personalmente, alla fine di una festa di matrimonio, sono stato testimone di un evento del genere. Ho usato il condizionale, perché in genere il numero di questi palloncini che si fanno volare non arriva ad una cinquantina, ma si mantiene entro le 15-20 unità. Cinquanta è di norma un numero elevato anche per una manifestazione con droni, benché recentemente se ne siano usati di più a Torino in sostituzione nella festa patronale dei fuochi artificiali. Il lancio di materiale da un elicottero o aereo mi convince di meno, in quanto mi sembrano meno probabili articoli luminosi che si mantengono in aria.

   

  Durante l’ultima eclisse totale di Sole (quella dei 21 agosto 2017), dopo la fase della totalità, assistetti dallo stato dell’Idaho alla visione di diversi punti luminosi, che erano il risultato di un esperimento realizzato per l’eclisse da parte di università statunitensi. Il loro aspetto era del tutto stellare, anche attraverso binocoli comuni, tanto è vero che alcuni partecipanti al gruppo organizzato da Nuovo Orione mi chiese se erano stelle.

   

  Tutto considerato, nel suo caso la spiegazione che mi convince di più è la prima che ho citato, quella dei palloncini illuminati, anche se – lo ribadisco – in genere il loro numero non arriva alla cinquantina.

   

                                                                            Un cordiale saluto, Walter  Ferreri   

   

• Domanda fatta da: Piero Milanese, [email protected], 24/06/2018

  
  

  Gentille signor Ferreri Le chiedo se sono corrette le attribuzioni riportate sulla foto che le invio. (In particolare quelle riguardanti la regione del Mare Australis). Pur essendo un astrofilo attempato (71 anni), da poco mi dedico (e mi diletto) di osservazioni lunari più approfondite, usando come atlanti il Rukl e il Clementine. La foto è stata eseguita la sera dello scorso 21 giugno con un vecchio rifrattore Vixen FL 102/900 (fine anni '80), e una barlow 2x. La camera usata è una ZWO ASI 120mc. I softwares di elaborazione il solito Registax 6, e Gimp2. Colgo l'occasione per esprimere la mia stima al lavoro da lei svolto: la seguo da tantissimi anni, anche se questa è la prima volta che la interpello in modo diretto. Le allego anche la stessa foto senza attribuzioni. Grazie per l'attenzione, e cordiali saluti Piero Milanese

  risponde Walter Ferreri
  

   

  Innanzi tutto la ringrazio, sia per la sua stima nei miei confronti, che per il fatto che mi segue da molto tempo.

   

  A questo ringraziamento è d’obbligo far seguire i complimenti per l’immagine che acclude; davvero notevole per essere stata ottenuta con un’apertura da soli 10 cm, anche se lo strumento che ha utilizzato è di alta classe. Notevole anche il fatto che ha sfruttato al meglio una massima librazione lunare in longitudine, che ha portato alla eccellente visibilità di regioni situale sul bordo sud-orientale della Luna, di norma visibili solo molto, molto di scorcio.

   

  Le denominazioni riportate sono corrette e questo la dice lunga sulla sua esperienza: non è facile riconoscere particolari visti così di profilo.

   

   

   

                                                                 Un saluto e ancora complimenti,  Walter  Ferreri   

   

• Domanda fatta da: Antonietti Ignazio, [email protected], 28/06/2018

  
  

  Volendo acquistare uno strumento ad uso prettamente fotografico sono indeciso tra due modelli con ottiche totalmente diverse. Il primo e' un astrografo della Omegon f4 154/600 (Orione ottobre 2017) , il secondo e' un astrografo ritchey-chretien GSO da 6'. A parte la necessita' di un correttore di coma per il primo,la differenza di apertura f4 contro f9 quali sono i pro e i contro che possono far propendere la scelta verso uno o l'altro? Grazie e arrivederci.

  risponde Walter Ferreri

   

  Lei prende in considerazione due strumenti dal rapporto d’apertura molto diverso; f/4 il primo, f/9 il secondo. E’ chiaro che sono concepiti per finalità (sia pure entrambe fotografiche) diverse. Il primo per la fotografia di oggetti del cielo profondo, estesi ma superficialmente poco luminosi; esempio tipico il Velo nel Cigno. Il secondo, grazie alla configurazione Ritchey-Chrétien (RC), ha un buon campo esente da coma, ma anche con il suo riduttore di focale come relazione d’apertura non va sotto f/7,5. Comunque, a f/9 l’RC è in grado di consentire ottime riproduzioni degli ammassi globulari e nebulose planetarie. Un’ulteriore caratteristica dell’RC è quella di fornire immagini nitide anche ai bordi del diffuso formato fotografico APS-C. Inoltre, è assai compatto e piuttosto leggero. Di contro il Newton f/4 ha una luminosità davvero eccezionale; è cinque volte più veloce dell’altro, ovvero, ad esempio, in 4 minuti di posa registra nebulosità che l’altro impiega 20 minuti a rendere ugualmente impressionabili sul sensore.

   

  Non sapendo quali soggetti predilige fotografare, un consiglio da parte nostra è piuttosto problematico. Visto che parla di astrografo, immaginiamo che a lei interessino soprattutto gli astri del cielo profondo superficialmente deboli, ed ecco allora apparire più consigliabile l’Omegon, anche in considerazione del fatto che il GSO ha un’ostruzione importante (50%) e questo lo penalizza nella fotografia di Luna e pianeti, nonostante il rapporto d’apertura di f/9. Ad esempio, nelle fotografie planetarie non può reggere il confronto con uno Schmidt-Cassegrain dello stesso diametro (che però è nettamente più costoso), perché in queste configurazioni l’otturazione è tipicamente ben sotto il 40%. 

   

                                                                               Un cordiale saluto,  Walter  Ferreri   

   

• Domanda fatta da: Augusto Galliano, [email protected], 03/07/2018

  
  

  Oltre che il CPC800 , con la powerthank lithium di Celestron , posso alimentare l'ASI 178 MMC? E se ci aggiungessi il PC portatile? PS : I filtri rosso chiaro , verde e blu (Celestron) vanno bene per la tricomia?

  risponde Giuseppe Donatiello

  La PowerTank Lithium di Celestron è una batteria ricaricabile di ottima capacità pensata proprio per l’astrofilo itinerante moderno che non deve solo alimentare i motori e l’elettronica dello strumento ma anche altri dispositivi deputati all’acquisizione immagini ed elaborazione. Ovviamente tale batteria va utilizzata preferibilmente in installazioni campali poiché, pur economizzando con cavi e adattatori, per un uso domestico (o se disponibile in loco) è più vantaggiosa una fonte di energia elettrica di rete. La capacità della PowerTank è di 86,4Wh quindi in grado di garantire una certa autonomia con strumenti a basso assorbimento. L’uscita 12VDC/3 ampere consente l’uso del suo CPC800 (1,5A) per molte ore, però collegandovi altri apparati, il tempo di autonomia si riduce sensibilmente. In linea di principio potrebbe collegarvi, con adeguato trasformatore/adattatore 19V, anche il portatile e su questo l’ottima camera ASI178MMC raffreddata (il TEC a 12V separatamente), però nutro seri dubbi sulla possibilità di riuscire a completare un’intera sessione fotografica. Messo sotto sforzo con più applicazioni, periferiche e flussi dati, un PC assorbe non poco. Io ottengo buone performance con l’adattatore da 19VDC/2 ampere, ma andrei meglio con qualche ampere in più. In altri termini, la risposta al primo quesito è un sì ma con riserva, nel senso che deve fare un po’ di conti sugli assorbimenti complessivi nel suo setup  per stimare autonomia disponibile.

  In alternativa consideri la possibilità di dotarsi di una buona batteria auto, qualche presa multipla e un inverter (oppure un adattatore PC per auto): soluzione meno elegante però largamente collaudata che le garantisce autonomia per un’intera notte di riprese e,  forse, complessivamente più economica.

  In merito ai filtri, è bene essere specifici, quindi presumo si riferisca ai visuali colorati Celestron del tipo Wratten,  rosso W25, verde chiaro W56, e blu W80A. La risposta anche in questo caso è affermativa sebbene tali filtri non siano ottimizzati per l’astrofotografia e richiederanno un maggiore lavoro in fase di merge LRGB per bilanciare al meglio. Con i Wratten può fare pratica, però sarà meglio dotarsi di un buon set di filtri LRGB per avere master calibrati anche per applicazioni fotometriche.

• Domanda fatta da: Giorgio scarlatti, [email protected], 02/07/2018

  
  

  Mi chiamo giorgio scarlatti sono abbonato alle Stelle ho scaricato la App relativa ma non risulto abbonato! Vorrei spiegazioni. La mia email e' [email protected]. Grazie.

  risponde Piero Stroppa

  Gent.mo Giorgio Scarlatti, la prego di inviare le richieste riguardanti gli abbonamenti all'indirizzo e-mail [email protected] oppure telefonare al n. 02 30 57 26 27. 

  I nostri uffici possono accedere direttamente e in tempo reale alle informazioni necessarie per risolvere questi problemi.

• Domanda fatta da: Galliano Augusto, [email protected], 14/06/2018

  
  

  Nelle prime riprese di Marte ho notato una tempesta di polvere nell'emisfero nord di Marte molto estesa. E' possibile che si scateni come nel 2001 rendendo invisibili i dettagli per mesi ?Debbo temere per quest'opposizione?

  risponde Federico Manzini
  

  Buongiorno Galliano,

  ha detto giusto, c'è in atto (sto scrivendo queste righe all'inizio di luglio) una tempesta 'globale' di polvere che interessa tutto il pianeta rosso. Non a caso se lo osserva ad occhio nudo appare ben più rosso del solito.

  E' questo un fenomeno che si ripete periodicamente in rapporto alle stagioni marziane ed è correlato alla sublimazione dei ghiacci di anidride carbonica ai poli. Questi sublimando in quantità e in tempi molto stretti creano una imponente corrente d'aria che va dall'equatore ai poli e viceversa; basta questo per innescare potenti tempeste di sabbia che si placano solo quando si raggiunge una isoterma alla superficie del pianeta.

  Al momento non si può dire quando terminerà l'evento, ma alcune macchie di albedo della superficie marziana che erano completamente scomparse stanno facendo nuovamente capolino...

  A presto, cieli sereni

  Federico Manzini

  Ps l’immagine di Piercarlo Rossetti e di Marco Toscani le mostra lo sviluppo della tempesta marziana (riflettore da 300 mm, proiezione con oculare 15 mm, camera ASI1200MM, filtri LRGB Baader.

   

• Domanda fatta da: Il mio abbonamento cartaceo è scaduto?, [email protected], 28/06/2018

  
  

  IL mio abbonamento cartaceo è scaduto?

  risponde Piero Stroppa

  Gent.mo Romeo Trevisan, la prego di inviare le richieste riguardanti gli abbonamenti all'indirizzo e-mail [email protected] oppure telefonare al n. 02 30 57 26 27. 

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